Limiti e criticità del Recovery Fund possono essere risolti con la monetizzazione del debito?

Giuseppe Conte Recovery Fund

Nei miei precedenti interventi sul Recovery Fund, ho evidenziato soprattutto alcune criticità dell’intesa raggiunta in sede UE.

Criticità in vero condivise negli interventi espressi da una pluralità di analisi sul tema, come ho potuto constatare dalle opinioni di politici ed economisti intervenuti sul tema in contesti diversi.

Qualcuno si è anche ricordato dell’Eneide, parafrasando un verso del poema virgiliano: “Timeo Bruxelles et dona ferentes”, in occasione del lancio di un nuovo partito, che dovrebbe denominarsi Italexit.

Personalmente, penso comunque che l’accordo, pur con tutti i suoi elementi critici, possa essere l’avvio per una diversa prospettiva. Un punto di partenza non ancora giunto al suo giusto e naturale punto di approdo, che forse verrà in un secondo tempo. Quando ci si sarà accorti che ancora una volta, alcuni meccanismi proprio non vanno.

Ma per capire meglio questa problematica, ricordiamo in breve questi limiti.

  • Le risorse ancora non ci sono, e le erogazioni potranno avvenire solo tra qualche tempo.
  • Le risorse dovranno pervenire essenzialmente dai Recovery Bond, obbligazione europea che deve convincere il mercato alla sua sottoscrizione. E con quali tassi? O da imposizione fiscale europea, che si aggiungerebbe a quelle dei singoli stati.
  • I programmi devono avere il placet definito dalla governance UE, quindi parrebbe che tutto quanto non rientra in programmi green o digitali, o altre riforme apprezzate, come quella pensionistica, non dovrebbero ricevere nulla. Ma la crisi non ha forse riguardato tutti i settori? Ad esempio, la ristorazione. E, a differenza di quanto sostenuto da qualche esponente del governo, se uno intende continuare nella sua attività di ristorazione, potrebbe far parte di un programma di sovvenzioni, rientrante nei fondi del Recovery? Probabilmente no.

Ma limiti e criticità del Recovery Fund, possono essere risolti con la monetizzazione del debito?

Il Recovery Fund è importante, a mio avviso, non per i problemi che risolve, per tutti i motivi legati ai limiti ed alle criticità, di cui sopra.

Ma più che altro, intellettualmente. Mi spiego.

Sinora l’Ue, provenendo da una precisa scuola di pensiero economico, legata essenzialmente alle vicissitudini della Repubblica di Weimar, ha nettamente osteggiato strumenti del debito comune ed una banca centrale, che acquistasse debito sul mercato primario.

Con il Recovery si è affrontato il primo nodo, e superata una visione ormai anacronistica.

Ma resta il secondo nodo, quello di un timore legato alla monetizzazione del debito.

In altri termini, solo entrate fiscali e risorse finanziarie provenienti dal mercato delle obbligazioni europee possono intervenire a sostegno delle erogazioni del Recovery Fund, secondo l’attuale intesa.

In questo modo, però, si incontrano particolari problemi.

Se al mercato quelle obbligazioni non piacciono, il rischio è che si crei dell’inoptato, come si usa dire tecnicamente.

Cioè che una parte delle emissioni non venga sottoscritta.

O che venga sottoscritta a tassi più elevati di quanto inizialmente previsto.

Lo stesso fenomeno che causò in misura significativa il proliferare del debito in Italia, quando venne meno il potere di Bankitalia di sottoscrivere i titoli non sottoscritti dal mercato (famoso divorzio tra tesoro e Banca d’Italia).

Peraltro, essendo queste risorse limitate, necessariamente i programmi finanziabili lasceranno fuori tutta una serie di settori, tutti quelli non riconducibili al green o al digitale o ad altre riforme complementari, come quella della pubblica amministrazione.

Peccato che la crisi abbia riguardato un po’ tutti i settori e che probabilmente necessiterebbe un intervento quantitativamente decisamente superiore a quanto attualmente previsto.

Peraltro le vicissitudini economiche non possono essere definite a priori.

Come facciamo a dire, ad esempio, che non ci saranno ulteriori lockdown e quanto denaro servirebbe per affrontarli?

Le soluzioni

La soluzione passa, necessariamente, dal riattivare la funzione della Banca centrale europea tipica di una politica monetaria, che disponga di tutti gli strumenti possibili. Non solo di alcuni.

In primis, la possibilità di acquistare titoli obbligazionari in fase di emissione.

Inoltre, la possibilità di acquistare anche obbligazioni irredimibili.

Potendo la banca centrale acquistare i bond in fase di emissione, non ci sarebbero limiti quantitativi alle risorse disponibili.

Servono 2000 miliardi? E 2000 miliardi potrebbero arrivare.

Oppure solo una parte delle obbligazioni verrà sottoscritta dal mercato, a meno di non aumentare anche considerevolmente i rendimenti?

Interverrebbe la banca centrale ad acquistare la parte inoptata di bond europei, a tassi bassi, o con sottoscrizioni di titoli a fondo perduto, le celebri obbligazioni irredimibili.

In questo modo, non solo non si porrebbero i tipici problemi dimensionali di un Recovery Fund come attualmente concepito, ma neppure problemi di rendimento, che il mercato ovviamente tende a far lievitare, o problemi di scarsità di domanda di mercato.

Ma anche problemi di sostenibilità del debito.

Se, per qualunque motivo, anche intrinseco alla possibilità di proiezioni errate in sede UE, i flussi finanziari conseguenti alla programmazione prescelta non consentissero un rimborso del debito contratto tramite i Recovery Bond, sarebbe sufficiente trasformare il debito non rimborsabile in obbligazioni irredimibili, poi sottoscritte dalla BCE.

Ecco, quindi, che anche il problema della sostenibilità del debito troverebbe una soluzione nella concezione della banca centrale non solo come prestatore di ultima istanza, ma anche come erogatore di ultima istanza.

Classiche obiezioni

Si definirebbe, quindi, una volta per tutte anche il problema della sostenibilità debitoria. Ma la massa monetaria così creata, non rischierebbe di far affondare la valuta, o meglio l’euro, nel suo rapporto con altre monete? O di provocare un’inflazione oltre misura?

Si tratta di classiche obiezioni, che hanno fatto temere, sin dalla prima costruzione europea, il ritorno a scenari in stile weimeriano. Da cui poi il rischio di un ritorno a regimi dittatoriali, come quelli che fecero leva su certe considerazioni economiche, come il nazismo.

Ma successivi studi, e la storica esperienza di politiche monetarie a livello mondiale, in particolare della politica monetaria USA, hanno evidenziato soprattutto due elementi.

In presenza di una politica monetaria fortemente espansiva, come quella realizzata dalla Fed, non si determina necessariamente una particolare dinamica inflazionistica, né una debolezza della moneta rispetto alle altre.

Soprattutto se la massa monetaria realizzata si traduce in creazione di prodotti e servizi.

Occorre quindi che l’Europa non ripercorra certi errori, che hanno già portato alla situazione attuale, quella della creazione di un debito, talora ritenuto insostenibile, perché manca un ente prestatore/erogatore di ultima istanza.

E poi è assolutamente indispensabile che le erogazioni, sia in forma di prestiti che di erogazioni a fondo perduto, riguardino tutti i settori economici. Non solo quelli considerati meritevoli dalla governance UE.

Limiti e criticità del Recovery Fund: il terzo errore

Terzo errore che dovrebbe essere evitato è quello di una imposizione fiscale comunitaria. Le risorse provengano dal prestatore di ultima istanza, se del caso tramite sottoscrizioni di debito irredimibile, da far sottoscrivere, appunto, a chi può stampare denaro, non certo ai cittadini. Non è certo il caso di attuare politiche recessive, come quella riconducibile ad una imposizione fiscale aggiuntiva rispetto a quella statale.

Tanto più che errore porta ad altro errore.

Come quello di voler introdurre la cosiddetta Plastic Tax.

Appunto, non basta la recessione già in atto? Vogliamo defenestrare un altro settore economico italiano ed europeo?

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT