Italia-Cina: quali rapporti?

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L’Italia può cascare nella tela del ragno cinese? Quali rapporti Italia-Cina?

Nel bene e nel male, ormai, con la Cina si dovranno fare i conti e non solo quelli legati alle Borse asiatiche.

La Cina è il più grande capitalista di stato del mondo e il suo potere di penetrazione è impressionante.

Il problema è che questo Stato non ha una democrazia di stampo occidentale e non  considera minimamente i diritti civili.

I diritti civili sono solo quelli che il partito permette con tutte le sue limitazioni dirette o indirette.

L’Italia per sua fortuna o sfortuna è uno dei tasselli, anzi uno dei punti terminali di questo grande progetto dell’attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese XI Jinping.

XI Jinping resterà al comando della Cina Popolare per ancora molto tempo.

Con questo presidente, a differenza di Trump, dovremo  avere dei rapporti politici e diplomatici per il futuro  più prossimo.

Già molti giornali stranieri  dichiarano apertamente  che aderire alla nuova via della seta è solo un grande errore. E nel futuro sarà impossibile staccarsi da questo cordone ombelicale con il grosso gestore.

Nuova Via della Seta, vantaggi e svantaggi!

L’Italia non ha bisogno di investimenti,  a differenza di  molti Paesi africani, e quindi  accettare l’ingerenza economica cinese sarà sicuramente un brutto affare.

Perché accettare i soldi dei cinesi?

Domanda da fare alla nostra classe politica, molto spesso miope e poco lungimirante.

Un brutto affare, come sempre per la nazione, un buon affare per i soliti ignoti.

Quando XI Jinping sbarca a Roma a marzo 2019, una parte dell’economia italiana parla cinese, purtroppo.

Già 641 aziende italiane sono possedute da investitori cinesi, una parte considerevole nella produzione interna pari a circa 8,4 miliardi di PIL nel 2019 e molto di più  nell’anno 2020 nonostante la crisi economica globale.

Per esempio la Pirelli ha investitori cinesi nel proprio assetto di governo.

La presenza degli investimenti cinesi in Italia è notevole

Vi è presenza cinese in Banca Intesa, Unicredit (MIL:UCG), MPS, Generali, addirittura in ENI gioiello italiano, in ENEL, Terna, Snam, Italgas.

La lista sarebbe lunghissima.

Il gruppo Ferretti, Riva e Candy per citarne altri.

In alcune zone d’Italia, come in Toscana nella provincia di Prato, il settore tessile è a prevalenza cinese.

Inoltre il porto di Trieste vero punto terminale del percorso della via della seta dovrà sicuramente cedere buona parte della logistica ad imprese cinesi.

Per adesso viene usato il porto di Napoli, vero ingresso per le merci provenienti dal gigante asiatico.

La domanda che ci dobbiamo porre è questa: dobbiamo aprire le porte economiche ad un paese non democratico? Quali rapporti Italia-Cina ci attendono?

Nella storia moderna un evento di questa portata non era mai successo prima.