Verso una crisi costituzionale con mercati che sembrano reagire in modo positivo: ora cosa succede dal punto di vista giuridico ed economico?

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GRAVE CRISI ISTITUZIONALE: ED ORA COSA SUCCEDE DAL PUNTO DI VISTA GIURIDICO ED ECONOMICO?

Nel seguire le tormentate vicende del nostro paese in questa delicata fase politica e finanziaria, come sanno coloro che mi seguono anche come commentatore delle medesime, devo dire che mi attendevo il probabile esito di una remissione del mandato da parte del premier incaricato e di un ritorno alle urne.

Non mi attendevo, invece, lo ammetto, uno scontro istituzionale arrivato ad un punto di rottura tale, da far parlare addirittura di impeachment, cioè di messa in stato di accusa del presidente della repubblica.

Ma come stanno veramente le cose?

Evidentemente, tutta questa complessa vicenda riveste diversi aspetti, tra loro reciprocamente interdipendenti, ed è quindi opportuno fare chiarezza sui medesimi, senza escludere le posizioni economiche del prof. Savona, di cui, a mio modesto avviso, poco si è realmente capito.

A tale riguardo, non ho infatti letto o sentito praticamente nulla, in questi giorni, che parlasse di divorzio tra tesoro e banca centrale, del ruolo di tale divorzio, delle diverse posizioni assunte dallo stesso Savona al riguardo, nonché del ruolo assunto dallo SME in ordine alla crescita del debito pubblico.

Eppure la storia non mente e, come in un processo giudiziario (chissà se si farà quello a Mattarella), certe prove non mentono.

Ma procediamo con ordine e facciamo chiarezza, come nostra abitudine, sui seguenti punti.

Premetto che userò tutte le mie competenze sia di giurista, che di economista, per cercare di rendere nel modo più semplice temi che, oggettivamente, semplici non sono.

Le questioni trattate implicano infatti conoscenze tipiche del giurista, in particolare del penalista e del costituzionalista, oltre che quelle dell’economista.

In sintesi:

  • Il reato di attentato alla costituzione
  • Si voleva davvero andare al governo?
  • Le differenti posizioni di Savona nel tempo
  • Le vere ragioni del debito pubblico italiano
  • Attuali prospettive

Mattarella: attentato alla costituzione?

Effettivamente, già prima dell’esisto negativo di ieri, alcuni giuristi avevano avanzato l’opinione che Mattarella, violando, a loro parere, la costituzione in materia di nomina dei ministri, stesse rendendosi responsabile del reato di attentato alla costituzione.

A ben vedere, il quadro normativo in materia non dice molto, per cui possiamo ritenere che per attentato alla costituzione si intenda una violazione di norme costituzionali.

Il che rinvia ad una domanda di fondo: qual’è il potere di nomina del presidente?

E, ancora una volta, la costituzione non chiarisce.

Da qui, come spesso accade in questa materia, il proliferare di diverse scuole di pensiero.

Già mi vedo, in queste ore, alcuni autori, che dovranno trattare questo delicato tema, chini sui libri di illustri costituzionalisti, per cercare di conoscerne e richiamare il pensiero in materia, dal Mortati al Barile, per citare alcuni dei più famosi.

Peraltro non dimentichiamoci che lo stesso Mattarella è stato giudice della corte costituzionale.

Sintetizzando, possiamo dire che una prima scuola di pensiero tende a limitare i poteri del presidente, considerando che siamo una repubblica parlamentare e non una repubblica presidenziale.

Di qui l’opinione che il presidente potrebbe, e dovrebbe limitarsi ad esercitare una funzione puramente notarile.

E, preso atto dei numeri per la formazione di un governo, non potrebbe rifiutare la nomina di uno o più ministri, una volta indicati dal premier incaricato.

Secondo una diversa scuola di pensiero, invece i costituenti, al fine di costruire una architettura fatta di pesi e contrappesi, hanno pensato ad una ripartizione di poteri in cui il presidente, in senso estensivo, avrebbe anche un ruolo nella difesa della costituzione, intesa come estesa agli accordi internazionali, cui peraltro la stessa costituzione fa riferimento in relazione al nostro ordinamento giuridico.

Si obietta che una maggioranza politica potrebbe volere trattati diversi.

Sotto altro profilo, diversi sono gli interessi costituzionalmente protetti, a partire da quelli del risparmio, che potrebbero essere a rischio in certe situazioni.

Pertanto Mattarella avrebbe agito nell’ambito di una funzione come dire…tutelare di alcuni principi ed interessi, costituzionalmente rilevanti, con potere di rifiutare la nomina di uno o più ministri, se confliggenti con i medesimi.

La mia opinione è che in ambito penale, dal momento che l’Italia è uno stato di diritto, vige il principio di tassatività della fattispecie penale, ragion per cui un qualsiasi reato deve essere espressamente previsto come tale dalla legge e, nel caso di indeterminatezza, non sussiste.

Questa indeterminatezza si può verificare nel caso delle cosiddette leggi integratrici.

In alcuni casi, infatti, una norma penale rinvia a norme di altri rami dell’ordinamento giuridico, per definire alcuni elementi del reato, come in questo caso con un rinvio al diritto costituzionale in materia di poteri del presidente.

E proprio in questo caso, anche solo il dibattito tra scuole di pensiero diverso, evidenzia come la costituzione spesso non definisca tutta una serie di elementi, a partire dai poteri di alcuni organi costituzionali, in primis per il presidente della repubblica.

Pertanto, in tali casi, definire l’esercizio di un potere come abusivo, o meno, dipende non dalle chiare espressioni linguistiche contenute in una norma, ma solo dall’interpretazione di una scuola di pensiero.

Si verificherebbe, quindi, il rischio di lasciar decidere cosa sia reato o meno non al legislatore, ma ad una scuola di pensiero, violando il principio, fondamentale in uno stato di diritto, che un fatto possa costituire reato solo se previsto espressamente da norme di legge, come si è detto.

E se la norma di legge non chiarisce a sufficienza, il rischio è quello di poter considerare rientrare nella fattispecie penale fatti diversamente interpretabili.

Ragion per cui, secondo le diverse fasi storiche ed i diversi orientamenti politici, il potere esercitato da Mattarella può essere considerato sia pienamente legittimo, che ampiamente arbitrario.

Occorre poi considerare che un’eventuale procedura di impeachment è articolata e complessa.

Se si decide di proseguire, allora questo implica che il parlamento non possa essere sciolto per un certo tempo, e già di qui vediamo la connessione tra diversi aspetti, visto che quindi opererà un governo, con decisioni anche in materia economica.

Occorrerà infatti interessare gli organi direttivi del parlamento, che potrà poi eventualmente votare la messa in stato di accusa.

La palla passerebbe quindi alla consulta, che deciderà in forma integrata con altri giudici, tratti da un elenco di soggetti con gli stessi requisiti per la nomina a giudice costituzionale e dallo stesso elenco verrà scelto chi svolgerà le funzioni di pubblico ministero.

Personalmente, credo che tutto questo sia destinato ben presto a cadere nel vuoto. Non fosse che perché, ammesso che la messa in stato d’accusa venga deliberata, poi difficilmente giudici costituzionali condannerebbero un ex giudice della consulta per qualcosa che può considerarsi sussistere o meno solo sulla base di diversi orientamenti di pensiero.

Si riconferma invece l’ipotesi, ritenuta da me più probabile, quella di elezioni anticipate, quindi con un prossimo governo Cottarelli in carica per l’ordinaria amministrazione, ma senza aver ottenuto la fiducia.

Ma si voleva davvero andare al governo?

Già prima dell’esito negativo dell’incarico a Conte, alcuni opinionisti avevano ritenuto probabile che effettivamente tutta questa voglia di formare un governo non ci fosse.

Uno dei motivi sarebbe soprattutto il programma contenuto nel contratto di governo, considerato di difficile realizzazione, soprattutto a fronte della mancanza di copertura finanziaria.

Poi i mercati finanziari avrebbero fatto il resto.

E di qui l’opinione che, tutto sommato, un veto di Mattarella facesse comodo, come un capro espiatorio da condannare ormai nel vero senso del termine, in caso di prosecuzione della procedura incriminatrice.

Come sanno coloro che ormai da tempo mi leggono, ho avanzato notevoli rilievi critici a tutto l’impianto della parte economica, e continuo a credere che vi sarebbero state significative difficoltà nel realizzare concretamente certe coperture finanziarie, a prescindere da quello che posso pensare sugli aspetti costituzionali della vicenda.

Il vero pensiero di Savona e le vere ragioni del debito pubblico

In realtà, Savona ha assunto nel tempo diverse opinioni, ed un excursus storico delle medesime chiarisce meglio le cose.

Intanto, va ricordato che certi meccanismi non sono nati con l’Ue o con l’eurozona.

Ben prima dell’avvento dell’euro, già si dibatteva in Italia se fosse il caso di cambiare alcune situazioni.

Mi riferisco in particolare al rapporto tra la banca d’Italia ed il nostro debito pubblico.

Occorre infatti ricordare che, fino al 1981, Bankitalia aveva l’obbligo di acquistare quella parte di emissione di titoli, che non venisse acquistata liberamente dagli operatori di mercato.

Questo significava soprattutto due cose.

Intanto che non c’era il rischio che una parte delle emissioni non venisse collocato, perché comunque la banca centrale italiana doveva comunque intervenire a copertura.

Ma esisteva un altro fondamentale aspetto: la banca centrale non acquistava questi titoli allo stesso tasso di mercato, ma ad un tasso decisamente ridotto.

Come se un imprenditore, dovendo finanziarsi, avesse diritto, invece di indebitarsi a tassi di mercato, di ottenere un finanziamento a tassi agevolati.

Voi capite che questo consentiva al debito di non lievitare, ma di restare contenuto entro certi livelli.

Tuttavia, già in quegli anni erano state sollevate pesanti critiche a questo meccanismo, perchè ritenuto responsabile di un certo proliferare della spesa pubblica, e di consentire una politica monetaria troppo accomodante all’esecutivo, invece di applicare una diversa politica monetaria, decisa autonomamente dalla banca d’Italia in vista di obiettivi come l’inflazione ed altri ancora.

Di qui l’opinione che sarebbe stato opportuno un divorzio tra tesoro e banca d’Italia.

Quest’ultima non avrebbe più dovuto essere obbligata ad acquistare quella parte di emissioni di titoli di stato non coperte dal mercato, pur potendolo fare, se ritenuto opportuno, ma in base ad una autonoma valutazione.

Tra i sostenitori di questa tesi c’erano soprattutto il partito repubblicano e, non stupitevi, il prof. Savona.

Il divorzio fu varato nel 1981 dall’allora ministro Andreatta.

Da quel momento, il debito pubblico salì, e proprio quel divorzio fu ritenuto  da molti causa di tale incremento.

Si disse, infatti, che il debito, non venendo più acquistato dalla banca d’Italia a tassi ridotti, era lievitato in misura sproporzionata proprio a causa del venir meno dell’obbligo di intervento, per cui tutto dipendeva dai tassi, maggiori, richiesti dal mercato.

Anche molti favorevoli, per così dire…..della prima ora al divorzio, cambiarono idea e tra questi il prof. Savona, che da sostenitore del divorzio, del resto in linea con il partito repubblicano, alla cui area politica Savona apparteneva,  divenne critico di tale impostazione.

Seguirono da parte sua altre critiche ai meccanismi, poi fatti propri in sede di eurozona.

Tale vicenda ci consente, però, di riflettere su come stiano realmente le cose.

In realtà, per i motivi che espongo di seguito, al limite solo in parte tale divorzio tra tesoro e bankitalia si rivelerà causa del lievitare del debito pubblico.

Ma procediamo con ordine.

In quegli anni era i vigore lo SME e l’Italia, per rispettare determinati tassi di cambio con le altre monete, livellò i tassi d’interesse verso l’alto.

Secondo alcuni fu questa la vera causa del lievitare del debito pubblico.

Quanto al divorzio con la banca d’Italia, infatti, nonostante il venir meno dell’obbligo di intervento di quest’ultima, continuarono comunque in gran parte gli acquisti da parte della stessa per un certo periodo di tempo, e quindi solo una parte del lievitare del debito è da ricondurre ai tassi di mercato.

Possiamo quindi dire che sicuramente il debito pubblico è cresciuto per una serie di concause, di cui il divorzio tra tesoro e bankitalia costituì solo una componente.

Ed ora?

Qualunque sia l’opinione che possiamo avere su tutta questa serie di complesse questioni, giuridiche, economiche ed istituzionali, direi che possiamo concludere con: va ora in onda Cottarelli.

Come commissario alla spending review, sarà probabilmente in grado di calmierare mercati ed istituzioni europee, almeno in parte.

Altrettanto probabilmente si andrà ad elezioni in autunno, ma questa volta sarebbe opportuno che i partiti dicessero apertamente agli elettori con chi sarebbero disponibili a fare un governo, se il risultato elettorale ancora una volta non decretasse vincitori con una maggioranza sufficiente ad ottenere la fiducia. Ferma restando, ancora una volta, la questione, al momento non definita, dei poteri del presidente della repubblica.

Certo, non è la stessa situazione che si verificherebbe nel caso in cui un tale governo ottenesse la fiducia, a fronte invece di una situazione politica nel medio termine, indirizzata verso nuove elezioni e quindi, ancora una volta, incerta.

Ma potrebbe essere in grado di affrontare almeno le urgenze più ravvicinate, e consentire ai mercati di ragionare con maggior tranquillità.

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