Un’incredibile scoperta italiana sulla luce blu che disattiva il coronavirus

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Chi avrebbe mai pensato che a far perdere vitalità al Covid-19 non sarebbe stato un farmaco o un vaccino, ma la semplice luce blu. È la scoperta del gruppo di virologi dell’Università di Siena. Un’incredibile scoperta italiana sulla luce blu che disattiva il coronavirus.

La precedente scoperta giapponese

I primi ad individuare un possibile utilizzo delle frequenze d’onda luminose per uccidere i virus, sono stati i ricercatori giapponesi dell’Università di Hiroshima. Gli studiosi hanno scoperto che la luce ultravioletta fa disattivare il coronavirus.

Si tratta per gli scienziati di individuare la giusta lunghezza d’onda UV fra le tante, che per il Covid-19, corrisponde alla lunghezza 222nm.

Un’incredibile scoperta italiana sulla luce blu che disattiva il coronavirus

L’orgoglio italiano ha sede nell’Università di Siena, in cui il team di ricercatori, capeggiato dalla dottoressa Maria Grazia Cusi ha fatto questa scoperta:

“Abbiamo utilizzato la luce led blu a diverse densità di potenza, con tempi diversi, contro alcuni virus respiratori come il virus respiratorio sinciziale e l’adenovirus, in modo da stabilire i parametri necessari per verificare l’attività virucida di questa luce. Dopo avere constatato che la densità di potenza di 120 mw/cm2 per 30 minuti rappresentava la situazione migliore per svolgere un’attività virucida, abbiamo deciso di verificare anche l’effetto di questa luce sul Sars-Cov2».

Gli effetti della luce blu sul coronavirus

Quando nel laboratorio di microbiologia dell’Università senense, hanno visto cosa era successo ai virus del Sars-Cov 2 dopo l’esposizione alla luce blu, sono rimasti non poco sbalorditi. Sul vetrino carico di virus, a quella esposizione di luce led bluastra, non ne era sopravvissuto nemmeno uno attivo

Così continua la professoressa: “Quello che si è visto è che c’è stato un totale abbattimento della quantità virale nel materiale trattato, sia a 30 che a 15 minuti. La luce blu è una lunghezza d’onda che non riesce ad interagire con il dna delle cellule, quindi non induce alcuna alterazione di tipo cancerogeno nell’uomo, come invece”, spiegano gli autori dello studio, “può avvenire con lunghezze d’onda più corte come i raggi Uv”.

Dunque la scoperta giapponese può essere utile per sanificare superfici e materiali. Mentre per quella italiana, non avendo conseguenze dirette sulla salute, se ne potrebbe prevedere anche un uso sulla persona.