Una testardaggine che alla fine potrebbe costarle molto cara

Jerome Powell

La Federal Reserve si prepara ad alzare i tassi d’interesse e, più in generale, a restringere la sua stance di politica monetaria. Come lasciato intendere dal governatore Jerome Powell nel FOMC della settimana scorsa, il rialzo avverrà nella riunione del Board schedulata per il prossimo marzo e questo rialzo dovrebbe essere soltanto il primo di una lunga seri. Per il solo anno 2022, infatti, i rialzi potrebbero essere complessivamente quattro, se non addirittura cinque. L’entità del rialzo dovrebbe poi ammontare a 25 punti base, ma non è da escludere che la Fed possa optare per un approccio in stile “doccia fredda” e aumentare il costo del denaro anche di 50 punti base.

La BCE e una testardaggine che alla fine potrebbe costarle molto cara

D’altronde, con un tasso di inflazione che negli Stati Uniti ha ormai toccato i massimi dall’inizio degli anni Ottanta e dopo che la narrativa portata avanti a lungo proprio dalla FED, relativa ad una dinamica “temporanea” dell’inflazione, è miseramente fallita, ai banchieri centrali di Washington è toccato arrendersi e tornare ad effettuare una necessaria, quanto impopolare, stretta monetaria.

Se questa stretta sarà fatta nei tempi giusti, oppure troppo in ritardo è ancora presto da poter dire. L’impressione di molti analisti è però quella che la banca centrale abbia agito “behind the curve”, come si dice in gergo, o “dietro la curva”. Troppo in ritardo, insomma. Le turbolenze registrate sui mercati azionari USA sembrano la miglior prova che certifica questi timori da parte dei trader, ovvero che la FED si sia fatta scappare la situazione di mano. Anche l’appiattimento della yield curve dei Treasury fornisce una ulteriore evidenza in tal senso. Avanti così, e si potrebbe arrivare anche all’inversione della stessa curva, una situazione che storicamente segnala l’arrivo di una recessione economica.

L’impressione è quella che, in ogni caso, la FED non riesca più a gestire quel rapporto simbiotico che ha avuto con i mercati negli ultimi anni, per effetto di una forward guidance magistralmente condotta, tutta basata sull’intento di preparare i mercati alle prossime mosse.

Una strategia di comunicazione che aveva funzionato e che adesso, improvvisamente, sembra funzionare meno di prima.

L’aver creduto, erroneamente, alla temporaneità del fenomeno inflazionistico è costato alla FED una perdita di credibilità.

La stessa cosa rischia di accadere alla Banca Centrale Europea, anch’essa alle prese con lo stesso scenario inflazionistico che si sta osservando negli USA. Con la differenza che, a differenza della FED, Francoforte non ha ancora abiurato alla sua credenza in una inflazione temporanea nell’Eurozona, nonostante i dati dimostrino, giorno dopo giorno, che questa lettura non è affatto vera. Una testardaggine che alla fine potrebbe costarle molto cara.