La verità, sull’episodio inflazionistico globale che stiamo vivendo da due anni a questa parte, sta finalmente cominciando ad emergere. Dopo il clamoroso “outing” effettuato dagli economisti della Banca Centrale Europea, capitanati da Philip Lane, che sul sito web dell’istituto di Francoforte hanno pubblicato un vero e proprio mea culpa, scusandosi per il drammatico errore di valutazione compiuto circa la sottovalutazione della natura permanente dell’inflazione, la scorsa settimana è stata infatti la volta di Janet Yellen, segretaria al Tesoro degli Stati Uniti ed ex governatrice della Federal Reserve, la quale ha dichiarato senza tanti giri di parole che sull’inflazione “mi sono sbagliata”.
Una abiura non da poco, considerando il ruolo di prim’ordine svolto e che svolge la Yellen, dopo che la scorsa estate era stata una tra i tanti economisti e funzionari della Casa Bianca che ridimensionavano l’inflazione a semplice “piccolo rischio” per l’economia. Soltanto dopo che la crescita dei prezzi è salita ai massimi delle ultime 4 decadi, senza che vi sia alcun segnale di un suo rallentamento, ecco che anche le super colombe di Washington sono state costrette ad ammettere i loro errori di valutazione.
A tale riguardo, il Washington Post ha scritto che “alla fine, un po’ di onestà sull’inflazione” è venuta fuori nella classe politica americana.
Anche se questa onestà “non abbasserà magicamente i prezzi”, almeno “aiuterà a far riguadagnare un po’ di credibilità alla Casa Bianca sul tema numero uno nella testa della maggior parte dei cittadini”.
Ecco cosa ha scritto il prestigioso quotidiano della capitale.
Negli scorsi mesi, il presidente Joe Biden aveva tentato di sostenere strenuamente la linea della Jellen, circa la natura temporanea dell’inflazione, arrivando apertamente ad accusare il mercato privato e le “avide multinazionali” di essere la causa del fenomeno.
Una accusa pesante, per una paese che riconosce da sempre i vantaggi del libero mercato, pur con tutte le inefficienze e le diseguaglianze che esso comporta. Ora, anche per il presidente Biden l’inflazione è diventata la “top priority” da affrontare, anche grazie ad una Federal Reserve che sembra aver avviato un suo whatever it takes per riportare il livello dei prezzi verso l’obiettivo del 2,0%.
Una abiura non da poco, considerando il ruolo di prim’ordine svolto e che svolge la Yellen
Un processo di normalizzazione, questo, che non sarà indolore ma che causerà, come già sta causando, un forte crollo dei mercati azionari – conseguenza della bolla speculativa alimentata da anni di politiche monetarie ultra espansive – un rallentamento significativo dell’economia, una possibile recessione, un forte ridimensionamento del settore immobiliare e un possibile aumento della disoccupazione.
Avverrà una operazione verità anche nell’eurozona, analogamente a quella che sta avvenendo negli USA? Avremo anche in Europa un riconoscimento di quanto l’inflazione rischia di essere un fenomeno dannoso per l’economia e la società, se non la si affronterà in maniera seria e decisa come hanno deciso di fare Federal Reserve e amministrazione Biden?
Difficile dirlo.
L’impressione è ancora quella di un contesto in cui i decisori hanno sì subito il duro colpo della realtà sull’aumento dei prezzi ma che ancora sembrano incapaci di ammettere che le soluzioni per risolvere il problema dell’inflazione dovranno essere drastiche e immediate. Il tempo, nel policy making, è una variabile decisiva.
Lettura consigliata
Guerra in Ucraina: la resilienza del rublo impone riflessioni sull’efficacia delle sanzioni