Un accertamento che faccia riferimento solo a “notizie di stampa” non è legittimo sotto il profilo della natura ed attendibilità della fonte. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 25343 dell’11/11/2020, ha risolto un contenzioso relativa ad un accertamento nei confronti di un tassista. Nel caso di specie, il contribuente, conducente di taxi a Firenze, aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che ne aveva respinto l’appello. Al di là della specifica fattispecie, il contenzioso rileva sotto il profilo del valore delle prove presuntive.
Il ricorrente censurava, in particolare, la rilevanza attribuita dal giudice alla c.d. “resa chilometrica”. Tale parametro era dato dalla risultante della divisione dei ricavi, dichiarati dallo stesso contribuente, per i chilometri, da lui indicati come percorsi nell’anno in esame (il 2003).
L’Agenzia delle Entrate aveva quindi ricostruito il reddito imponibile, calcolando una remunerazione di euro 0,70 per ogni chilometro percorso (la c.d. resa chilometrica).
Il dato dichiarato veniva ritenuto inattendibile se rapportato alle tariffe stabilite dal “Regolamento Unificato per il servizio di taxi” allegato alla delibera del Consiglio comunale fiorentino. In base a tale Regolamento, infatti, il costo per ogni chilometro percorso era indicato in euro 0,79, fino al 31 marzo 2003 e successivamente in euro 0,81.
La resa chilometrica indicata dal contribuente in euro 0,64, per ogni chilometro percorso, era peraltro inferiore anche al costo per chilometro e quindi inverosimile. Il contribuente obiettava però che il parametro assunto dall’Ufficio si basava su dati disomogenei. Sosteneva infatti il contribuente che questo non teneva conto del fatto che la resa chilometrica da lui indicata computava anche i chilometri percorsi “a vuoto”.
Ed in particolare non teneva conto dei chilometri relativi al tragitto di ritorno dal luogo in cui veniva accompagnato il cliente al punto di stazionamento del taxi. Come pure non teneva conto dei chilometri percorsi a vuoto, nel caso in cui il cliente, dopo la chiamata, non avesse poi atteso l’arrivo del mezzo. Il calcolo dell’Ufficio faceva infatti riferimento al solo chilometraggio rilevato con il tassametro in funzione e quindi con il cliente a bordo. Di tutte tali argomentazioni, rilevava il contribuente nel proporre ricorso per cassazione, la Commissione Tributaria Regionale non ne aveva tenuto conto, senza neppure spiegare perché le avesse considerate irrilevanti. Con un secondo motivo di impugnazione, poi, il contribuente contestava la rilevanza del parametro relativo alla “lunghezza della corsa media”.
La decisione
Ad avviso della Cassazione, tuttavia, tali considerazioni non giustificavano una censura di deficit motivazionale. La sentenza impugnata non aveva infatti ignorato le argomentazioni del ricorrente circa il mancato calcolo delle corse “a vuoto”, ma le aveva ritenute di scarsa incidenza. E questo perché tali percorsi erano verosimilmente brevi, in considerazione del numero cospicuo di piazzole di sosta, ove già si trovava gran parte dei clienti. La CTR aveva poi evidenziato che, nei pur modesti limiti in cui tale pregiudizio era rilevabile, esso era compensato dall’addizionale sulla tariffa per lavoro festivo, notturno e per trasporto bagaglio. In conclusione, secondo la Corte, non vi era in tal caso alcuna obiettiva carenza dell’iter logico-argomentativo che il giudice aveva seguito per la decisione.
Secondo la Cassazione, invece, il secondo motivo, relativo alla ricostruzione del reddito in base alla “lunghezza della corsa media”, ritenuta dall’Ufficio nella specie essere pari a 3,2 Km, era fondato. La CTR aveva infatti assunto, come uno dei parametri più significativi per la rettifica reddituale, quello della c.d. “corsa media”, attribuendo ad esso una oggettiva e conclamata fondatezza.
Ma, secondo la Corte, era proprio per la sua asserita affidabilità/ufficialità che detto parametro appariva “fallace”.
Il dato era tratto infatti, come si leggeva nella sentenza impugnata, da “tariffe definite dal Comune” e da “notizie fornite dalla stesso Comune”. L’assunto dell’attendibilità si fondava, quindi, sulla provenienza istituzionale del dato. Ma, in realtà, la circostanza che una “corsa” fosse in media pari a 3,2 chilometri, non trovava alcun riscontro in un’indagine cui il Comune avesse conferito carattere di ufficialità. E un accertamento che faccia riferimento solo a “notizie di stampa” non è legittimo sotto il profilo della natura ed attendibilità della fonte. Notizie, peraltro, nella specie, riferite al 2007 e che, quindi, erano sopravvenute anni dopo quello relativo alla verifica fiscale in esame, cioè, il 2003.
Osservazioni
Al di là della specifica fattispecie, come visto, è onere dell’Agenzia delle Entrate applicare presunzioni aventi comunque il carattere della gravità, precisione e concordanza. Ai sensi dell’art. 2727 e 2729 c.c., infatti, il ricorso alla presunzione richiede che i fatti noti siano certi ed univoci. E comunque che tra il fatto noto e quello da dimostrare sussista un legame che, pur senza essere di assoluta necessità causale, risponda ad un canone di forte probabilità. Vero è comunque che il fatto noto, accertato in via presuntiva, può ben costituire la premessa di un’ulteriore presunzione, idonea a fondare l’accertamento dello stesso fatto ignoto.