A cura di Gian Piero Turletti Autore degli Ebooks: Magic Box e PLT Edizioni Proiezionidiborsa
In questo articolo, intendo dare risposta ad una serie di quesiti che riguardano l’elezione di Trump, di natura finanziaria, macroeconomica, e politica:
- Certi sondaggi erano sbagliati?
- Cosa comporta dal punto di vista macroeconomico la politica di Trump?
- Rilevanti segnali su azionario ed oro e conseguenti proiezioni: quali target, quali setup?
- I trend di mercato sono condizionati dall’appartenenza del presidente ad un diverso partito?
Certi sondaggi erano sbagliati? Quale è stato il fattore determinante della vittoria di Trump?
In questi giorni si sprecano le analisi, soprattutto sociologiche e politologiche, per cercare di capire le ragioni di un voto considerato plebiscitario.
La realtà è un’altra.
Molto semplicemente, non c’è stato alcun voto plebiscitario, anzi, Trump ha preso meno voti della Clinton, cui però è corrisposto un maggior numero di grandi elettori, 59.798.978 voti per Hillary Clinton. 59.594.262 per Donald Trump.
Questo è potuto succedere grazie al sistema elettorale statunitense.
Si tratta di un sistema elettorale che peraltro non prevede, come erroneamente qualcuno sostiene, un mero premio di maggioranza, ma che prenda tutto chi prende più voti. Praticamente negli USA poteva vincere chi prendeva la metà dei voti e perdere chi ne prendeva il doppio. Lo dimostro con un esempio.
Il sistema elettorale non prevede di votare direttamente il presidente, ma i cosiddetti grandi elettori che, a loro volta, eleggono il presidente degli USA. In ogni stato, chi prende più voti ha diritto a tutti i grandi elettori di quello stato. Questo principio vale in tutti gli stati, tranne due, dove vige il proporzionale. Ipotizziamo che sia previsto che ogni 100.000 abitanti abbiano diritto ad un grande elettore. Quindi uno stato con un milione di abitanti ne avrebbe 10. Viceversa uno stato con soli 500.000 abitanti ne avrebbe diritto a 5. Ipotizziamo che nello stato che dà diritto a 10 grandi elettori, 600.000 voti siano per Trump e 400.000 per la Clinton. Tutti e 10 i grandi elettori di quello stato andrebbero a Trump. Ipotizziamo invece che nello stato con 500.000 elettori, tutti votino per la Clinton. Sarebbero 5 grandi elettori per lei. Ma Trump prende 10 grandi elettori, e la Clinton solo 5, mentre i votanti sarebbero stati solo 600.000 per Trump e ben 900.000 per la Clinton (500.000 di uno stato più 400.0000 dell’altro stato). Tutto questo dimostra che non c’è stata una sorta di investitura plebiscitaria di un leader, ma un voto che ha premiato il prendere la maggioranza dei voti negli stati che avevano diritto al maggior numero di grandi elettori.
Non erano quindi errati certi sondaggi che indicavano un numero di votanti in leggera maggioranza a favore della Clinton.
Solo che al maggior numero di votanti non è corrisposto un maggior numero di grandi elettori.
Ma, dal punto di vista economico e finanziario, è importante soprattutto concentrarsi sul programma di Trump: quali i punti cardine del suo programma?
In realtà il programma di Trump non è di destra o di sinistra, ma riunisce in sé un mix sui generis di posizioni, parte tradizionale patrimonio dei democratici, parte dei repubblicani. Non è un caso che sia stato avversato anche dal partito repubblicano. In parte intende portare avanti un programma di opere pubbliche in stile neokeynesiamo, quindi tipica posizione di sinistra economica, in parte propone un programma non solo di deregulation, ma anche di defiscalizzazioni. Probabilmente Trump ritiene che ciò dovrebbe portare ad un tale sviluppo economico, da sistemare economia e, allo stesso tempo, anche debito pubblico. In politica estera il neopresidente si presenta come una sorta di redivivo isolazionista, stile anni ’20, che vorrebbe superare anche le intenzioni bellicose attribuite alla Clinton. In politica estera Trump non è certo Reagan, e semmai in questo era la Clinton più somigliante a Reagan.
Se il programma verrà osservato, probabilmente le defiscalizzazioni unitamente alle opere pubbliche, dovrebbero consentire un certo effetto moltiplicatore a livello macroeconomico, secondo la tradizionale analisi keynesiana, tale da portare ad una fase più avanzata del ciclo economico rialzista.
Tuttavia gli effetti di tali politiche economiche probabilmente dispiegheranno i loro effetti pienamente solo nel medio termine, il che non esclude, quindi, possibilità di rallentamento economico, legate anche a forme di neoprotezionismo nei commerci internazionali, se verranno applicate.
Ma quali sono le indicazioni provenienti dall’azionario statunitense e dall’oro: quali setup e quali proiezioni di medio termine?
Come indicato in precedenti analisi, la chiusura della scorsa ottava si è rilevata fondamentale per le prospettive di medio termine di alcuni mercati.
In particolare, sull’oro si è chiuso un pattern ribassista di Magic box, che ha riconfermato la proiezione in area 920.
Significativo il fatto che tale pattern, peraltro, proietti anche setup coincidenti con le indicazioni cicliche contenute nell’ebook Il codice dei mercati, edizione proiezionidiborsa.
Viene infatti proiettato il raggiungimento di tale target per/entro l’estate 2017, probabilmente per il mese di giugno/luglio.
Analoga coincidenza di setup si evidenzia anche per lo S & P 500.
Magic box proietta infatti un primo, fondamentale target in area 2424 con un fondamentale setup per/entro la metà di settembre, analogamente alle indicazioni cicliche dell’ebook Il codice dei mercati, edizione proiezioninidiborsa.
Ma i trend di mercato sono condizionati dall’appartenenza del presidente al partito democratico o repubblicano?
Alcune analisi dimostrano che non è scontata l’associazione tra il colore politico del presidente in carica ed un determinato trend di medio/lungo termine sui mercati finanziari, sia esso rialzista o ribassista.
Andando ad esaminare i trend di medio/lungo su euro/dollaro, oro, e S & P 500, almeno a partire dalla presidenza di Carter (democratico), si nota che durante la presidenza assegnata allo stesso partito (democratico o repubblicano), si sono alternati trend di medio/ lungo sullo stesso mercato, sia rialzisti, che ribassisti.
Pertanto non è il partito che esprime il presidente, in quanto tale, a condizionare le sorti di un mercato, ma altri fattori, che vanno ricercati in elementi macroeconomici o nella logica intrinseca dei mercati stessi, come analizzata con metodi matematici da proiezionidiborsa.
Tanto per fare alcuni esempi:
durante la presidenza di Bush junior, presidente repubblicano in carica dal gennaio 2001 al gennaio 2009, sullo S & P 500 abbiamo assistito a mercati sia rialzisti che ribassisti di lungo termine.
Parimenti sull’euro/dollaro abbiamo assistito a trend molto diversi, durante la stessa presidenza di Bush.
Prima al rialzo, sino al 2008, poi il trend invertì al ribasso, proprio dopo il massimo di quell’anno.
Parimenti, anche altri mercati hanno conosciuto trend molto diversi, pur sotto la stessa presidenza.
Ad esempio l’oro, durante la presidenza Obama (in carica da gennaio 2009) ha conosciuto prima un trend fortemente rialzista, sino al 2010, poi fortemente ribassista.