Come potrà risollevarsi l’Italia, tra piani alternativi per salvare il Paese ed assurde proposte, come la patrimoniale?
In questo articolo cerchiamo di approfondire alcuni aspetti che, a prescindere da qualsivoglia polemica politica, rendono la patrimoniale non solo una opzione inutile per le casse dello Stato ma, anzi, controproducente.
E vedremo come, invece, il Paese potrebbe risollevarsi con un piano B o un piano C, alternativi alle attuali politiche economiche consentite in sede UE.
A proposito di “Tra piani alternativi per salvare il Paese ed assurde proposte, come la patrimoniale, l’Italia come potrà risollevarsi?” occorre partire dalla considerazione che non è un caso se i Titoli di Stato, quali BOT e BTP, godano di una tassazione agevolata al 12,5%.
Unitamente ad un regime giuridico agevolato che, ad esempio, li ha resi non soggetti all’imposta di successione.
Si è trattato di definire una normativa agevolativa, per incentivare il loro acquisto, a fronte della necessità dello Stato di finanziarsi, appunto tramite la loro emissione.
A fronte dei dubbi di molti investitori di acquistarli, in considerazione del rating e di parametri finanziari di diverso tipo.
Una domanda che, evidentemente, i fautori della patrimoniale non si sono posti
La domanda è presto fatta. Qualora ci fosse una patrimoniale che, secondo le ipotesi fatte in questi giorni, riguarderebbe non solo gli immobili, ma anche i titoli finanziari, compresi quelli di Stato, quali effetti si verificherebbero su questi ultimi?
Come noto il mercato non regala nulla e fa sempre tornare ad un suo equilibrio quello che il legislatore modifica.
In altri termini, il mercato è in grado di modificare le situazioni a proprio favore.
Anche contraddicendo pesantemente obiettivi e dinamiche, che un legislatore cerchi di perseguire.
Nel caso dei Titoli di Stato gli investitori, partendo dal rating dei titoli, potrebbero in gran parte abbandonarli, preferendo, a quel punto, altri titoli, come le emissioni corporate.
Titoli che, avendo un rendimento generalmente superiore, renderebbero almeno qualcosa in più, quanto meno al netto della patrimoniale.
E questo perché a quel punto verrebbe logico ragionare come segue.
Se il titolo di Stato non mi offre più quel regime privilegiato, offerto finora, tanto vale andare ad acquistare qualcosa che, evidentemente, almeno mi renda maggiormente.
Almeno sino a che la disaffezione verso i Titoli di Stato non raggiunga, a fronte di quotazioni in ribasso, lo stesso rendimento delle obbligazioni corporate.
Lo Stato italiano, infatti, non ha un rating tale da poterne fare un particolare vantaggio competitivo. Anzi.
Ed opera pur sempre in un mercato in cui i titoli dal medesimo emessi sono in concorrenza con titoli alternativi.
Ne conseguirebbe un evidente incremento dello spread e dei rendimenti, e quello che rientrerebbe dalla porta, in termini di maggiori incassi, uscirebbe dalla finestra, per le maggiori uscite legate a rendimenti superiori.
È questo l’effetto che si desidera ottenere?
Non credo proprio, ma si dà il caso che molti politici l’economia e il funzionamento dei mercati neppure sappiano cosa sia.
Altri effetti nefasti della patrimoniale
Sfortunatamente una imposta patrimoniale, come quella teorizzata da alcuni politici, come Orfini e Fratoianni, rischia di avere analoghe ripercussioni negative anche su altri settori, come quello immobiliare, già pesantemente colpito dalla crisi.
Certo vi sarebbe una sorta di effetto moltiplicatore al contrario, in negativo.
Ossia, per ogni euro prelevato con la patrimoniale, lo stesso euro, moltiplicato per un certo coefficiente, che ancora non si è in grado di stimare, verrebbe sottratto al mercato immobiliare. Con inevitabili ripercussioni in negativo sul PIL.
Quali entrate e quali uscite?
Fatte le dovute proiezioni, nelle casse dello Stato entrerebbero, forse, alcune decine di miliardi in più, grazie alla patrimoniale, a fronte di un debito pubblico di miliardi. In ogni caso, niente di risolutivo.
E forse neanche questo si verificherebbe, dal momento che molti porterebbero i patrimoni all’estero, dove l’applicazione dell’imposta diverrebbe decisamente problematica.
Poi, comunque, lo Stato dovrebbe fare i conti con entrate in meno, conseguenti all’effetto moltiplicatore negativo, di cui sopra, e con le maggiori uscite per risalita di interessi e spread.
Politici come Orfini e Fratoianni ne sono consapevoli, e con loro, tutti quegli eventuali politici che, tanto per apporre la firma su un emendamento, abbiano sottoscritto questa ipotesi di imposta?
Francamente, ne dubito.
Non è un caso che altri Paesi stiano intraprendendo una strada diametralmente opposta, come la Grecia, che sta puntando su una significativa iniziativa di riduzione della pressione fiscale, per incentivare gli investimenti dall’estero, non a caso.
Questi sono solo alcuni, comunque, dei risvolti dell’introduzione si una siffatta imposta. Ben altri potrebbero essere oggetto di ampie disamine come, dal punto di vista etico e morale, la circostanza di tassare ricchezze già tassate nella fase della loro formazione.
Ma il discorso porterebbe lontano, mentre mi preme, invece, rimarcare che esistono piani decisamente alternativi per far ripartire l’Italia. Ed alternativi non solo alla patrimoniale, ma anche al Recovery, al MES ed agli scostamenti di bilancio.
Il piano B
Ammettiamo anche l’ipotesi che questo esecutivo naufraghi o che non arrivi neppure un euro dei miliardi previsti in base al Recovery Plan.
Si potrebbe, come già indicato in altre occasioni, consentire agli Stati la stampa diretta di denaro, quanto meno per quantitativi limitati e senza correlata emissione del debito. Almeno per far fronte all’eccesso di indebitamento provocato da situazioni che, in quanto impreviste ed imprevedibili, non dovrebbero soggiacere alle ordinarie regole sui conti pubblici.
Non solo nel senso di sospendere i tradizionali parametri di riferimento, ma anche nel senso di consentire meccanismi, solitamente negletti, per il riequilibrio dei conti pubblici. Il quantitativo non sarebbe soggetto a discrezionalità del Governo o di qualche autorità monetaria. Ma basato su parametri rigorosamente quantitativi, in relazione a quantità di moneta circolante, PIL e tendenze inflattive.
Il piano C
Non indico questo piano come ultimo, in quanto ad ordine di importanza.
Ma perché, personalmente, preferirei una implementazione del piano B, senza mai arrivare ad utilizzare, invece, questa ultima opzione.
Con il piano C si evita di stampare, come invece nel piano B, denaro non correlato ad emissione di titoli di Stato.
Ma si conferisce ad enti, come la BCE, il compito di sottoscrittore, sin dalla fase di emissione, di obbligazioni di tipo irredimibile o comunque a lunga o lunghissima scadenza, anche a cento e più anni.
Con tassi molto bassi o financo negativi.
I mancati introiti della BCE saranno compensati dalla facoltà della Banca Centrale di stampare moneta, anche per ricoprire mancati incassi.
La differenza sostanziale tra piano B e C è rappresentata dal fatto che, mentre nel piano B è lo stato a stampare denaro, secondo quantitativi predeterminati in base ad alcuni coefficienti, nel caso C la nuova emissione monetaria viene affidata alla Banca Centrale, ma svincolata dal contraltare costituito da acquisto di titoli rimborsabili.
Sicuramente sia il B che il C sono piani comunque alternativi a Recovery, MES e patrimoniale.
Tutti meccanismi, questi ultimi, che, come abbiamo visto, possono non solo non funzionare, ma, anzi, avere ripercussioni negative, producendo financo effetti opposti a quelli desiderati.
A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT”