Sudan abolite mutilazioni genitali femminili

Sudan

Siamo nel 2020 e solo oggi arriva la notizia che in Sudan, il governo di transizione ha deciso di abolire la pratica delle mutilazioni genitali femminili. L’introduzione del divieto nel codice penale verrà accompagnata da una dichiarazione costituzionale sui diritti e le libertà. Ebbene, ricordiamo che questa barbarie contro i diritti umani non è praticata solo in Sudan ma in ben 30 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, in alcuni paesi dell’Asia e dell’America Latina. Il fenomeno è, però, ancora capeggiato dal continente africano, mentre negli altri è diffuso a macchia di leopardo, dipendendo dall’appartenenza etnica.

Certo è che una pratica chiaramente dichiarata illegale da diversi trattati internazionali e osteggiata perennemente dall’ONU, continua ad esistere. Essa, addirittura, è ampiamente praticata anche in Europa, dove si stima che siano circa 600mila le donne emigrate che vi sono state sottoposte. Lo stop del Sudan, tuttavia, dove circa l’88% delle donne veniva mutilato, potrebbe essere d’esempio per gli altri paesi africani.

In cosa consiste la mutilazione genitale femminile

Le mutilazioni sono una pratica fondate su credenze tradizionali, volte a garantire onore familiare e opportuniutà di matrimonio. Due sono i tipi di pratica in questione. Quello ascissorio, che consiste nella rimozione dell’apparato genitale femminile esterno ed è praticato nel 90% dei casi. Poi, vi è un 10% di casi riservato all’infibulazione che consiste nel restringimento dell’orifizio vaginale. In entrambi i tipi di intervento, poichè per lo più vengono eseguiti a livello domestico, essi scatenano infezioni che possono condurre all’infertilità. In altri casi, poi, comportano complicazioni durante il parto.

La civiltà come concetto soggettivo

Si pensi, dunque, che mentre in Italia il solo diritto al voto è stato riconosciuto alle donne nel 1946, oggi, nel 2020, per molti continenti si parla ancora di mutilazioni genitali femminili. Si parla di valori completamente diversi, ovviamente e l’Italia non è stata neanche pioniera nel riconoscere il suffragio universale femminile. Infatti, ci sono paesi, come la Nuova Zelanda, che vi hanno provveduto quasi un secolo prima.

Comunque, resta il fatto che le donne continuano ad essere discriminate, in ogni cultura, in ogni paese e senza limiti di tempo. Basti pensare al gran numero di femminicidi, alle discriminazioni sul lavoro, alle violenze domestiche che trovano spazio nei paesi cd. civilizzati. Quale sarebbe la causa di tutto ciò? Certo le leggi non aiutano a cambiare la mentalità e non impongono un modo di pensare. Il problema nasce dal radicamento di un’educazione e un’ impronta culturale fondate sul maschio come modello di forza fisica e di virilità.

Questa caratterizzazione sarebbe il lasciapassare dell’affermazione del suo dominio sull’altro.

Questa idea dello squilibrio e della discriminazione, nasce da una profonda convinzione, alla quale ci si è affezionati troppo per potervi rinunciare. Sul piano psicologico esiste la tendenza di ciascuno all’affermazione del suo dominio sull’altro e vi siamo abituati fin dalla nascita. L’autorità genitoriale scandisce i nostri primi passi verso la adolescenza e ci indirizza nel percorso di vita. Poi, arriva il matrimonio che si sostanzia nela convivenza, spesso traumatica, dei due sessi. Allora, se tutto rientra nella nostra normale concezione di civiltà, dove si insinuerebbe il problema? Esso nasce quando il senso sano dell’ indirizzamento e dell’accudimento dell’altro trasmodano nella volontà di autoaffermazione e di potere sull’altro. Insomma, per dare un suggerimento: sarebbe d’uopo insegnare più educazione civica e filosofia nelle scuole e meno matematica.

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