Ancora scontri sul tetto del mondo tra Cina e India.
Dopo le azioni militari di giugno che hanno tenuto il mondo con il fiato sospeso per una guerra convenzionale tra le due nazioni più popolose al mondo, i fuochi di guerra si sono accessi nuovamente.
Se a giugno la paura del Covid-19 è stata un deterrente e ha permesso di limitare gli scontri, perché questi sono proseguiti? Possibili spettri di guerra con la Cina?
Nessuno dei contendenti voleva la guerra e in particolar modo l’India, la quale era ed è ancora la meno preparata per un conflitto militare convenzionale sull’altopiano tibetano.
Luoghi impervi e poco raggiungibili, anche le notizie sono sempre di seconda mano
I luoghi degli scontri si trovano ad altezze medie intorno ai 4000 metri o forse più.
Le zone contese riguardano due regioni dell’altopiano tibetano: la regione dell’Aksai Chin, posta a occidente tra Lada e Kashimir indiano, e l’altra ad oriente, l’Arunachal Pradesh, tra il regno del Buthan e la Birmania.
Gli scontri di fine agosto sono stati molto importanti, dato che le truppe speciali indiane erano composte da residenti tibetani in esilio.
Queste truppe, formatesi con i profughi tibetani scappati dal Tibet dopo la rivolta di Lhasa del 1959, sono state denominate dal governo indiano SFF (Special Frontier Force).
Truppe speciali usate molto spesso dall’esercito indiano
La SFF ha preso parte a numerosi scontri e addirittura usata nella terza guerra contro il Pakistan.
In questi reparti d’elite, oggi gli Indiani e i Nepalesi sono la maggior parte degli arruolati, anche se la base di arruolamento rimane tra i Tibetani delle regioni montane.
Il simbolo di questi reparti è il leone delle nevi che è quello che è rappresentato sulla bandiera del Tibet indipendente.
Queste truppe speciali sono quelle che a fine agosto hanno preso parte ad uno scontro, durante il quale hanno occupato addirittura un campo militare cinese.
In questo scontro è caduto il comandante di questi reparti, il tibetano Nyima Tenzin di 51 anni.
I funerali si sono svolti in modo solenne alla presenza dei più alti dirigenti indiani il giorno 9 settembre nella capitale del ex regno del Ladak, conosciuto anche con il nome del piccolo Tibet.
Sulla bara è stata posta la bandiera dell’india ma anche la bandiera del Tibet indipendente.
In questo modo l’India che in questa tenzone sarebbe la meno avvantaggiata, fa presente al grande vicino che lei è anche disposta a giocare la carta dell’indipendenza tibetana.
Spettri di guerra con la Cina. Ma sara proprio così?
Questo sarebbe un grosso azzardo per la dirigenza indiana, la Cina non tarderà a mostrare i muscoli.
Giocare la carta dell’indipendenza tibetana, in questo periodo e in questo modo, non sarà mai la carta vincente per l’elefante indiano.
La Cina ha sviluppato una politica molto aggressiva verso l’India e per il suo presidente attuale XI Jinping. La questione tibetana è fuori da ogni discussione.
In questo senso, basta osservare la politica cinese verso il Nepal e il piccolo regno del Bhutan.
Il Nepal, alla prese con un deficit pubblico pauroso, ha ricevuto sostanziosi fondi cinesi. In contrapposizione ha dovuto sottostare al diktat di Pechino di reprimere qualunque manifestazione pro-Tibet, sul suo territorio, da parte dei numerosi profughi tibetani.
Inoltre il Nepal si è impegnato “a riconsegnare” al madre patria cinese quegli elementi violenti che risiedono sul suo territorio.
Il Bhutan vive costantemente nell’incubo di una invasione cinese, e per adesso ha scelto come male minore l’avvicinamento politico al continente indiano.
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