Si può vendere cibo fatto in casa?

Si può vendere cibo fatto in casa

Ai tempi del coronavirus stare sempre a casa porta spesso a cucinare. E a mangiare. Ma volendo, quello che potrebbe essere un danno alla linea, potrebbe trasformarsi in un affare. Ma si può vendere cibo fatto in casa?

Un’occasione di guadagno

Nei giorni scorsi, con l’esplosione dell’emergenza coronavirus, si è assistito all’accaparramento di generi alimentari di prima necessità. Su tutti, farina e lievito. Una spesa che ha fatto pensare alla volontà di impiegare il tempo da trascorrere a casa, per sperimentare nuove idee in cucina. Il che potrebbe anche rivelarsi un’occasione di guadagno. Infatti anche chi non è molto pratico ai fornelli può riuscire a creare una vera e propria attività lavorativa.

Si può vendere cibo fatto in casa?

Anche chi è alle prime armi può sfruttare questi giorni per perfezionare la tecnica e, magari, usare i suoi familiari come “cavie”. La buona notizia, infatti, è che si può vendere cibo fatto in casa. La cattiva è che per farlo bisogna chiedere alcune autorizzazioni che, attualmente con alcuni uffici chiusi, non sempre è possibile ottenere. Ma per il momento si può iniziare con il primo passo: farsi conoscere su Internet. Non solo, ma dal momento che si è costretti a stare chiusi in casa, perché non crearsi un profilo Facebook, Instagram o Pinterest e iniziare a fotografare le proprie delizie?Se non altro per iniziare una strategia di marketing su Internet.

Dalla teoria alla pratica

Ma una cosa è l’entusiasmo, un’altra è la realtà. Infatti, come detto, se si vuole proseguire e vendere cibo fatto in casa, quella che si aprirà sarà un’impresa a tutti gli effetti. E per riuscire a farla nascere, quindi per passare dalla teoria alla pratica, si dovrà iniziare prima di tutto creando un business plan. In questo schema si dovranno comprendere gli inevitabili costi.

Un’impresa domestica alimentare

Soprattutto legati all’adattamento della cucina che dovrà rispondere a precise norme igieniche e ad alcuni requisiti specifici. Infatti quella che si creerà sarà a tutti gli effetti un’impresa domestica alimentare. Ma nel business plan dovranno essere incluse anche eventuali modalità di consegna e spedizione della merce. Oltre le garanzie di conservazione ottimale dei cibi durante il trasporto.

Richieste ed autorizzazioni necessarie

Il secondo passo per vendere cibo fatto in casa? Quando sarà finalmente chiusa l’emergenza e saranno riaperti gli uffici, con calma si potrà iniziare l’iter della varie richieste ed autorizzazioni necessarie. Per ovvi motivi la prima cosa da fare è l’apertura di una Partita Iva. Quindi sarà la volta di una richiesta di autorizzazione all’Asl. Successivamente si dovranno attivare le procedure per la Segnalazione Certificata Inizio Attività (Scia) che dovrà essere consegnata allo sportello unico delle attività produttive del comune di residenza. Alcuni comuni permettono di avviare l’iter online.

Cos’è la certificazione Haccp?

Ultimo passo, tra la documentazione necessaria, anche la certificazione Haccp. Anche in questo caso Internet può aiutare visto che esistono corsi online. Cos’è la certificazione Haccp? L’acronimo di Hazard Analysis Critical Control Point, cioè Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici) attesta la conoscenza del sistema di controllo, e produzione degli alimenti, la sicurezza igienica e la sua commestibilità.