Come anticipato ai lettori di ProiezionidiBorsa, torno ad occuparmi dell’intricata questione, relativa alla formazione del governo, soprattutto per fare chiarezza su alcuni equivoci, che potrebbero falsare la vera situazione politica italiana.
E’ certamente vero, come dicevo in un precedente articolo, che in politica vale il detto mai dire mai, ma a me pare che in questo caso sia preferibile usare un antico adagio di origine latina, nihil sub sole novi, cioè nulla di nuovo sotto il sole.
Ma procediamo con ordine e passiamo ad esaminare le varie ipotesi, che in queste ultime ore sono salite alla ribalta degli analisti.
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Ipotesi 1: Di Maio avrebbe smussato alcune asperità, aprendo ad un appoggio esterno di Fratelli d’Italia e di Forza Italia.
La verità è semplice: non è vero.
Istituzionalmente, se un qualsivoglia governo si presenta alle camere per chiedere la fiducia, qualsiasi parlamentare, anche a titolo personale ed eventualmente in dissenso dal gruppo di appartenenza, può votare pro o contro.
E’ quindi del tutto evidente che si possa ottenere una fiducia anche da parte di settori, o di singoli parlamentari, che non rientrino nella compagine governativa. Il famoso appoggio esterno.
E, una volta ottenuta la fiducia, il governo entrerebbe nel pieno dei propri poteri.
Ma questa ipotesi, cioè un possibile voto esterno, viene seccamente smentita proprio da coloro che, nell’ipotesi di Di Maio, questo appoggio esterno dovrebbero fornire, cioè Forza Italia e Fratelli d’Italia.
Quindi direi ipotesi neppure tramontata, ma mai neppure nata.
Ipotesi 2: il secondo forno dei pentastellati.
Di Maio in questo periodo ha reiteratamente detto di giocare su due forni, facendo riferimento al PD in alternativa alla trattativa con la Lega.
Probabilmente questa ipotesi, o meglio la sua fattibilità, è più difficile da comprendere, rispetto alla trattativa con Salvini, soprattutto a fronte di un PD che ha una sua geografia interna, rappresentata da varie correnti, un po’ come la DC di un tempo.
Ma facciamo subito chiarezza e diciamo che tale ipotesi è quasi subito naufragata.
Attualmente la maggioranza del PD è in mano essenzialmente a due correnti, in primis ai renziani, seguiti numericamente dai cosiddetti franceschiniani, cioè i seguaci di Franceschini.
Queste due componenti hanno chiaramente detto di no ad un accordo con i cinque stelle, peraltro motivando tale posizione partendo da una valutazione di inconciliabilità programmatica.
Avrete infatti probabilmente notato che, a fronte anche di alcune frasi che potevano essere equivocate, talora comparse sulla bocca di qualche esponente PD, intervenivano prontamente secche smentite di noti esponenti di una delle due correnti, soprattutto da parte dei renziani.
Ad esempio quella di Rosato, aperto sostenitore di Renzi, che ha avuto modo di ribadire un secco no all’ipotesi di accordo con Di Maio.
Certo, nel PD non tutti la pensano allo stesso modo, in particolare sono stati favorevoli sin dall’immediato post elezioni, ad un accordo con i cinque stelle, i sostenitori di Emiliano, governatore della Puglia, ma la realtà è che questa posizione è ampiamente minoritaria nel partito.
Ne consegue che Martina, peraltro reggente, e non segretario politico, a che titolo potrebbe fare un accordo?
Se lo facesse, probabilmente assisteremmo ad un’ulteriore scissione, dopo quella che ha portato alla formazione di Leu.
Scissione che spingerebbe soprattutto Renzi a formare un suo partito, molto vicino alle posizioni di Macron in Francia.
Si aprirebbero così nuovi scenari politici, con un PD ormai ridotto al lumicino, ipotesi che certo la maggior parte dei suoi dirigenti intende evitare.
Ed infine, che dire dell’ipotesi di un esecutivo del presidente?
In realtà, gli esecutivi tecnici non esistono, in quanto poi devono fare precise scelte politiche, anche se la loro compagine è affidata a tecnici o burocrati.
E soprattutto in Italia questo genere di governo ha spesso coinciso con misure economiche recessive, basti pensare al governo Monti.
Al momento pare che questa soluzione sia invisa alla maggior parte delle forze politiche.
Certamente al centrodestra, ma anche ai cinque stelle, che rischierebbero una netta riduzione dei consensi, qualora appoggiassero un governo in stile Monti.
Più defilata e possibilista, mi è parsa la posizione del PD, che però rappresenta al momento una minoranza parlamentare.
Ancora una volta, quindi, ben possiamo dire nihil sub sole novi, ed intanto prende sempre più piede l’ipotesi di nuove elezioni, come volevasi dimostrare.