Il 16 marzo 2022 è la prima scadenza della stagione delle dichiarazioni dei redditi di quest’anno. Entro tale data i datori di lavoro sono tenuti a tramettere le CU 2022 e a farle pervenire anche ai propri dipendenti. Successivamente, il 30 aprile, l’Agenzia delle Entrate metterà a disposizione dei contribuenti il 730 precompilato. Ed è proprio in questa occasione che molti contribuenti potrebbero avere la brutta sorpresa di dovere molti soldi al Fisco. Anche se negli anni precedenti hanno avuto diritto al rimborso.
Lavoratori due o più CU nel 2022
Il rischio di trovarsi a debito con il conguaglio del 730 riguarda i lavoratori che nel corso del 2021 hanno avuto più di un rapporto di lavoro. Ma anche coloro che, ad esempio, hanno percepito la NASPI. Questo perché si troveranno ad avere più di una certificazione unica. Il lavoratore dipendente, nella maggior parte dei casi, ha diritto ad un rimborso in sede di presentazione del modello 730. Questo perché paga, mese dopo mese, nella busta paga l’IRPEF sul reddito prodotto.
Il datore di lavoro, infatti, applica la tassazione sulla base del reddito presunto dell’anno mese dopo mese. E proprio per questo motivo, solitamente, in sede di 730 il dipendente ha già pagato l’IRPEF dovuta. Ed ha diritto, quindi, al rimborso che deriva dalle detrazioni spettanti. Questo non avviene se ci sono diverse CU ed il dipendente rischia di trovarsi a debito con il Fisco.
Rischia di dover pagare importi salati con il 730 e niente rimborso chi lo scorso anno ha commesso questo errore
In mancanza di una comunicazione del dipendente, il datore di lavoro applica la tassazione sulla busta paga solo relativamente ai redditi da lui erogati. Ma L’IRPEF è un’imposta progressiva che sale al salire del reddito. Se il dipendente ha più di un datore di lavoro, ogni sostituto di imposta applicherà la tassazione solo sui redditi che conosce. Ma l’IRPEF deve essere pagata sul cumulo dei redditi e questo potrebbe portare il contribuente allo scaglione successivo. Con applicazione di un’aliquota superiore per chi rischia di dover pagare importi salati.
Facciamo un esempio ipotizzando un dipendente che nel corso del 2021 è stato licenziato ma ha trovato una nuova occupazione. Supponiamo che il reddito per il primo lavoro sia di 14.000 euro e che quello per il secondo di 7.000 euro. Il primo datore di lavoro ha applicato una tassazione al 23% (relativa allo scaglione fino a 15.000). Il secondo datore di lavoro non ha applicato tassazione. Il reddito che il dipendente ha prodotto presso di lui, restando sotto gli 8.145 euro, ricade nella no tax area. Sommando i due redditi, però, si ottiene il complessivo da 21.000 euro che rientra nel secondo scaglione.
Il lavoratore, di fatto, nel 2021 ha pagato solo il 23% sui primi 14.000 euro, ovvero 3.220 euro di IRPEF. In realtà avrebbe dovuto pagare il 23% sui primi 15.000 euro ed il 27% sull’eccedenza, ovvero 5.070 euro di IRPEF. Con il 730 si troverà a debito, al lordo delle detrazioni, di 1.850 euro.