Da giorni la classica domanda da un milione di dollari che volteggia nelle stanze dei bottoni dei dicasteri economici di ogni ordine e grado risponde allo slogan di: “…e come ne usciamo adesso da questo casino?” Quali potrebbero essere le ricette anti crisi?
Gli ultimi anni sono stati di crescita
L’economia mondiale e nazionale da almeno un quinquennio aveva imboccato la via della crescita rispetto ai primi anni del post Lehman: listini azionari in ascesa; riduzione dei tassi di disoccupazione; vi era un generale clima di benessere. In quel contesto però il grosso del merito fu delle banche centrali di mezzo mondo e delle loro politiche monetarie ultraespansive (QE, tassi a zero e altre misure non convenzionali messe in piedi in quei frangenti).
Oggi tuttavia quelle armi sono spuntate; la partita si svolge infatti su un altro campo e precisamente su quello delle politiche fiscali e di bilancio. In pratica oggi il pallino del gioco è più nelle mani del legislatore (nazionale) che non del governatore (peraltro sovranazionale da quando vi è l’UEM). La situazione di partenza – leggasi 2019 – è peraltro deboluccia: a fronte di un deficit/pil all’1,6%, la crescita s’è attestata a un misero +0,3% (dati Istat). Un’eventuale contrazione economica (allo stato attuale sembrerebbe inevitabile) inciderebbe sulla componente dei consumi delle famiglie e degli investimenti industriali, nonché sui saldi commerciali con l’estero (vedi ad es. la voce turismo e la pioggia di disdette che stanno giungendo in questi giorni dall’estero).
Ricette anti crisi: si auspica un intervento
Ecco allora spiegato il motivo per cui da più parti s’invoca l’intervento deciso del governo a sostegno dell’economia. Che tradotto vuol dire un doppio allentamento, uno relativo alla sfera fiscale (se lavoro meno o niente proprio, tu Stato vienimi incontro non mettendoci del tuo) e l’altro a favore dei cordoni della spesa pubblica, che supplisca in toto o in buona parte le componenti famiglie&imprese. Oltretutto in queste ore è giunto anche il benestare delle Istituzioni UE: «Le spese una tantum sostenute per far fronte alla diffusione dell’epidemia sono escluse per definizione dal calcolo del bilancio strutturale e non vengono prese in considerazione nella valutazione dell’adeguatezza dello sforzo di bilancio previsto in base alle regole attuali».
Questa infatti è stata la risposta ufficiale a firma Dombrovskis e Gentiloni, rispettivamente Vicepresidente della Commissione europea e Commissario comunitario con delega all’Economia, al nostro ministro Gualtieri in merito all’autorizzazione allo scostamento, per il 2020, dal deficit programmatico, quale effetto diretto dell’emergenza Covid-19.
Si assisti allora e quanto prima ad uno Stato-massaia, che spenda. Ma che curi non tanto il “quanto” ma piuttosto il “come e dove”.