Recovery Fund: una vittoria per chi?

Recovery Fund

L’accordo raggiunto nella notte sul Recovery Fund rappresenta, secondo il premier Conte, una importante vittoria per il nostro Paese e per l’esecutivo, il cui obiettivo primario sarebbe infatti stato il Recovery, e non il MES.

Ad accordo raggiunto, ci domandiamo se tale interpretazione sia effettivamente condivisibile, affrontando diverse questioni sul tappeto.

Di seguito un breve elenco dei punti toccati dalla seguente analisi:

  • Recovery Fund: una vittoria per chi?
  • MES e Recovery Fund: differenze e condizionalità
  • Recovery Fund: cosa permette e cosa no
  • Recovery Fund: quali tempistiche?

Il filo rosso che lega i diversi punti dell’analisi vuole evidenziare come in realtà le cose, in una certa prospettiva, appaiano decisamente diverse rispetto alla trionfalistica vittoria. Una vittoria con cui il Governo interpreta l’esito della trattativa.

Recovery Fund: una vittoria per chi?

Sicuramente l’esito della trattativa ha portato un risultato positivo ai cosiddetti paesi frugali: l’ampliamento dei rebates, quegli sconti sui contributi al bilancio europeo, cui sono tenuti i membri UE.

Per altri Paesi, come al solito, questi rebates non sono stati previsti.

Per Olanda e soci si tratta proprio di soldi che vengono risparmiati, quindi un innegabile risultato in termini di bilancio.

E’ vero che altri Paesi, tra cui l’Italia, godrebbero di risorse anche a fondo perduto.

Ma esiste una differenza fondamentale.

I rebates costituiscono denaro in meno da corrispondere all’UE, le corresponsioni a fondo perduto no. Vanno investite secondo le condizionalità definite a livello comunitario. Una differenza non da poco.

MES e Recovery Fund: condizionalità e differenze

Se infatti confrontiamo MES e Recovery Fund, emerge una contraddizione significativa nelle parole di Conte proprio a tale riguardo.

Non si voleva e tuttora non si vuole il MES, perché si ritiene costituisca una eccessiva condizionalità la destinazione delle relative risorse alla spesa sanitaria.

Ma allora, forse che le risorse del Recovery Fund possono essere liberamente spese secondo le indicazioni decise dai singoli governi nazionali secondo la loro discrezionalità?

Ebbene no, occorre che vi siano piani di utilizzo delle risorse e che questi vengano approvati secondo le regole della governance comunitaria.

Sotto tale profilo, quindi, che differenza sostanziale esiste tra MES e recovery?

A quanto pare non ce ne sono.

Non si capisce, quindi, per quale motivo il MES debba essere considerato uno strumento da respingere perchè viziato da una condizionalità, che violerebbe la sovranità nazionale, ed il recovery invece sia considerato strumento senza questo vizio originario.

Possiamo forse dire che il MES  ha già una destinazione d’uso inziale, quella sanitaria, mentre le risorse del Recovery no, potendo avere più di una possibile destinazione, da concordare di volta in volta.

Ma certo non possiamo dire che il Recovery possa essere gestito in autonomia dai singoli esecutivi europei.

Recovery Fund: cosa permette e cosa no?

Se quindi ci domandiamo cosa permettano e cosa no le risorse di questo strumento finanziario comunitario, possiamo agevolmente rispondere che si deve comunque trattare di piani di investimento.

Uno strumento, quindi, per realizzare una visione neokeynesiana dell’economia, ma certo non utilizzabile per impostazioni politiche di un certo tipo.

Ad esempio non per ridurre il debito pubblico, né per finanziare una riduzione della pressione fiscale, a quanto pare. Salvo una successiva modifica dell’impianto originario, oggetto dell’accordo notturno.

Tale aspetto rappresenta un limite non da poco, soprattutto se si considera che prima che investimenti di vario tipo, ad esempio in determinate infrastrutture, esplichino i loro effetti a favore di una ripresa economica, i tempi certo non sono brevi.

Ben diverso effetto, in termini di tempistiche relative agli effetti di misure economiche, avrebbero potuto avere strumenti di politica economica espansiva, quale la riduzione del debito, nonché della pressione fiscale.

Le misure possibili

Con tali misure si potrebbe tentare un riavvio dell’economia, che non incontrerebbe, invece, gli ostacoli tipici degli strumenti che paiono maggiormente ricondurre, invece, alla logica del Recovery Fund.

Se i programmi consentiti in sede comunitaria devono riguardare soprattutto iniziative di spesa per investimenti, allora bisognerebbe, intanto, che si sappia come spenderli, quei soldi.

Peccato che, come già dimostrato dagli incontri di Villa Pamphili, non sia così agevole trovare iniziative che possano tradursi in concreti programmi approvabili in sede UE. E quindi il discorso è tutto da costruire.

Poi si dovrà passare la burocrazia delle decisioni sui singoli programmi, e poi il vaglio delle decisioni politiche. Si prospettano tempi lunghi e formalità burocratiche.

Ben diversa sarebbe stata una concreta possibilità di affrontare sin da subito i temi della parabola discendente del debito pubblico e della riduzione della pressione fiscale, problemi che già si pongono nella prossima finanziaria.

Con quali risorse affrontarli?

Non pare, infatti, che si possano usare quelle che sarebbero messe a disposizione da un Recovery Fund, sia per le tempistiche, che per il tipo di intervento.

Quali tempistiche?

E’ infatti anche sotto il profilo delle tempistiche, che si evidenzia una sostanziale differenza rispetto ad uno strumento come il MES.

Questo sarebbe disponibile subito.

Le risorse del Recovery Fund, invece, saranno stanziate solo in futuro, e bisognerà prima adottare idonei strumenti per reperirle.

Conclusioni.

Si scorge una palese contraddizione nella valutazione da parte dell’esecutivo delle diverse risorse, relative al MES, rispetto a quelle del Recovery Fund.

Sicuramente i paesi cosiddetti frugali una vittoria l’hanno conseguita.

Che si tratti di una vittoria per l’Italia è frutto di valutazioni discrezionali.

Le mie tengono conto delle motivazioni di sopra espresse.

Sicuramente sarà una vittoria per i mercati, che potranno lasciarsi andare ad un certo ottimismo, sia per quanto riguarda spread e titoli di Stato, che mercati azionari.

Per l’economia reale il discorso è diverso, dovendosi tener conto delle differenze tra misure come riduzione del debito e della pressione fiscale da un lato ed investimenti pubblici e correlata burocrazia dall’altro, nonchè delle tempistiche che le decisioni comunitarie potrebbero comportare.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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