Il lavoro è una parte integrante della nostra vita. Dobbiamo lavorare per guadagnarci da vivere, dunque è prima di tutto una necessità. E, molte volte, può essere faticoso e stressante. Quanto il lavoro sia pesante dipende moltissimo, però, dall’ambiente lavorativo. Infatti, il rapporto con colleghi e datore di lavoro è davvero fondamentale. Un rapporto costruttivo, complice o addirittura di amicizia con i propri colleghi e il proprio capo, può rendere il lavoro più noioso davvero stimolante.
Allo stesso modo, il lavoro più coinvolgente può diventare un incubo quando l’ambiente in ufficio non è dei migliori. Peggiorando la qualità della vita della persona e rendendola davvero stressante. Per fortuna corre una grossa differenza tra possibili incomprensioni in ufficio e vero e proprio mobbing di colleghi e datore di lavoro. Il mobbing è un insieme di comportamenti persecutori posti in essere da capo e colleghi sul luogo di lavoro, aventi il fine di danneggiare una certa persona. Questi comportamenti possono anche essere, guardati singolarmente, del tutto leciti ma denotano nel loro complesso un intento persecutorio.
Questi comportamenti del datore di lavoro, spesso ritenuti leciti, possono in realtà portare alla reclusione e al dovere di risarcire i danni al proprio dipendente
Perché si abbia mobbing, oltre all’intento globale persecutorio, devono ricorrere altri due elementi. La protrazione di questi comportamenti nel tempo, e il carattere sistematico degli stessi. Sostanzialmente capo e colleghi devono tenere dei comportamenti, anche apparentemente leciti, per un certo periodo di tempo. E questi devono avere come fine quello di creare un danno alla vittima.
I comportamenti che possono generare mobbing sono i più disparati. Ad esempio, in questo articolo si è parlato della possibilità del datore di lavoro di chiedere una pluralità di visite fiscali per il dipendente in malattia. Oppure se questa condotta possa integrare mobbing. Ad ogni modo, una pluralità di questi comportamenti del datore di lavoro, spesso ritenuti leciti, possono portare al reato di atti persecutori. Il codice penale, articolo 612 bis, punisce il colpevole con la reclusione fino a 6 anni e 6 mesi. Oltre a questo, il giudice può anche condannare il capo o i colleghi a risarcire i danni causati alla vittima.
I comportamenti rilevanti del datore
È interessante, allora, vedere come il lavoratore possa capire di essere oggetto di mobbing e come può provarlo al giudice. Interessante a questo proposito la recente ordinanza 13183 del 2022 della Corte di Cassazione. I giudici spiegano che il mobbing va provato. Il dipendente non può limitarsi a lamentare un comportamento con cui non è d’accordo, tenuto dal datore di lavoro o dai colleghi. In questo caso si trattava di un demansionamento.
Infatti, come detto, si ha mobbing quando vi sono un insieme di comportamenti protratti nel tempo e uniti dall’intento persecutorio. Se il comportamento tenuto da colleghi o datore di lavoro è isolato, e oltretutto rientra nelle facoltà previste dalla legge, non si tratta di mobbing. Oppure, in ogni caso, non ci saranno prove sufficienti perché il giudice ritenga sussistente il reato di atti persecutori.
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