A cura di Gian Piero Turletti
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Giappone, Europa ed USA hanno introdotto, pur con tempistiche differenziate, ed effetti diversificati, politiche espansive in stile neo keynesiano, ormai da tempo, in primis tramite l’azione delle banche centrali.
In pratica una banca centrale acquista titoli del debito pubblico, per immettere nel sistema nuova massa monetaria.
Ma, mentre Fed e Boj, quando svolgono tale funzione, acquistano titoli di nuova emissione, in modo da finanziare lo stato, la BCE non può fare questo, poichè vietato dai trattati europei, e deve limitarsi ad acquistare titoli sul cosiddetto mercato secondario, cioè relativo a titoli non di nuova emissione.
In tal modo lo stato non ha a disposizione nuovo denaro, per programmi espansivi, e la nuova massa monetaria va a finire ad enti finanziari, come le banche, che poi non è detto che la impieghino reimmettendola nel circuito economico.
Tipica infatti degli ultimi anni la decisione di investire anche da parte loro in titoli di stato.
Ovviamente, pertanto, un QE così gestito difficilmente serve a rimettere in moto l’economia.
Diversamente concepita questa politica, nella sua classica formula espansiva, prevede invece che la nuova massa monetaria debba servire per finanziarie lo stato.
Quali effetti?
Sicuramente aumenta il debito pubblico (infatti l’emissione di titoli è una modalità di finanziamento), e quanto agli effetti espansivi, spiegati con il concetto di moltiplicatore keynesiano, questi si possono avere a certe condizioni.
Intanto, occorre che il governo decida programmi di investimento in opere pubbliche,
che a loro volta creano effetti positivi sullo sviluppo economico, e che, al tempo stesso, questo non venga però vanificato da effetti recessivi, legati ad esempio a programmi di incremento della pressione fiscale, da parte di governi preoccupati per la tenuta dei conti pubblici.
Talora è possibile assistere a questo fenomeno, anche perchè poi, magari, una serie di governi, tra loro neppure omogenei, mettono in atto politiche contrastanti, ad esempio programmi di opere pubbliche, e poi programmi di incremento della pressione fiscale.
Oppure può capitare che la nuova massa monetaria vada a finire in programmi di mero assistenzialismo.
Tutto questo spiega anche perchè non necessariamente programmi di politica monetaria espansiva servano a reincentivare un certo livello di inflazione.
Se, ad esempio, la nuova moneta va a finire nei forzieri di banche, che non la fanno circolare, e si limitano ad acquistare titoli (investimento finanziario), anzi si tende ad una riduzione dei tassi.
Il vero incentivo antideflazionistico è una circolazione della moneta nei percorsi dell’economia reale.
Possiamo quindi comprendere perchè una politica monetaria espansiva possa portare a tassi negativi.
Altro strumento in questa direzione sono le decisioni delle banche centrali, che decidono i tassi ufficiali di riferimento, anche negativi.
Pur su scadenze diverse, ormai i tassi negativi sono una realtà sia per l’Europa che per il Giappone.
A mio avviso, comunque, il problema principale delle politiche monetarie espansive è il loro attuale funzionamento intrinseco, cioè forme di finanziamento pubblico.
Questo pone un problema anche di tenuta del debito pubblico, e solo se le politiche monetarie creano un’espansione della base economica, e quindi della base imponibile, il sistema sta in equilibrio.
Si potrebbe ovviare.
Come?
Nel seguente modo.
In parte, secondo quanto spiego di seguito, bisognerebbe tornare al potere di creare nuova moneta, ma senza correlata emissione di titoli del debito.
Secondo taluni, questo potrebbe ingenerare particolari spinte inflazionistiche, ma non è necessariamente vero.
Infatti, occorre tener presente che una volta, quando le monete venivano direttamente realizzate in metallo prezioso, o erano convertibili nel medesimo (solitamente oro), la moneta proprio per questi motivi aveva un intrinseco valore.
Dopo la fine dei cosiddetti sistemi a conversione, in cosa consiste il valore della moneta?
Praticamente è dato dal valore dei beni e servizi di un paese, rispetto alla cui base economica la moneta è come se rappresentasse una fetta di torta.
Ovviamente, a parità di controvalore economico, maggiore la moneta creata, minore il suo valore, come in una torta, a parità di dimensioni di questa, maggiore è il numero di fette, minore la quantità della singola porzione. Ma si potrebbe stabilire, appunto, che la nuova moneta creata, senza correlata emissione di titoli del debito, sia finalizzata alla creazione di beni e servizi, in modo che alla nuova moneta creata, faccia da contraltare appunto il nuovo controvalore economico di quanto realizzato con quella moneta.
Sarebbe, quindi, un modo per creare denaro, e sviluppare la base economica, tenendo a freno eccessive spinte inflattive, fermo restando che in un’economia di mercato è più rischiosa la deflazione, che l’inflazione.
Invece con il sistema attuale, si teme che questo potere, se concesso incondizionatamente al potere pubblico, e non gestito da un organo tecnico, quale una banca centrale, possa portare a squilibri ed abusi di tipo politico.
Il vero problema, quindi, è quello di definire limiti quantitativi, entro cui potrebbe realizzarsi questo ritorno alla creazione di nuova moneta, senza correlata emissione di titoli del debito.
Comunque anche l’azione della Fed ha dimostrato che non necessariamente nuova moneta significa particolare inflazione.
Per ritornare, invece, al tema dei tassi d’interesse, osservando la relativa curva giapponese notiamo che dobbiamo arrivare a titoli di durata quindicennale, per trovare rendimenti positivi, mentre in Europa, ad esempio, analoga situazione riscontriamo in Germania, mentre l’Italia ha tassi negativi sino alla scadenza biennale.
Negli Usa abbiamo invece rendimenti positivi su tutte le scadenze.
Del resto, non va dimenticata la fondamentale funzione interpretativa del ciclo economico, data dalla curva dei tassi.
Infatti, pur con curve analoghe, ad esempio tutte inclinate positivamente, sappiano che le diverse economie non si trovano allineate, cioè non sono tutte nella stessa fase del ciclo economico, ad es. gli USA si trovano in una fase decisamente più avanzata del ciclo rialzista.
E’ quindi ovvio che, anche per questo, possiamo avere economie, previste dai mercati in positivo, ma ad esempio alcune messe peggio (per cui i tassi delle scadenze meno lunghe possono essere negativi), proprio perchè solo una fase più avanzata del ciclo economico fa prevedere una maggior richiesta di denaro, e quindi un relativo costo più elevato, dato appunto dal relativo saggio d’interesse.