I più attenti di voi si saranno di certo accorti che in Italia si fanno sempre meno figli. Il problema delle culle vuote colpisce prevalentemente le coppie di italiani, e anche se il calo è drastico su scala nazionale, alcune regioni ne soffrono di più.
L’Istat parla di un ulteriore calo di nascite dal gennaio del 2021. Ci si chiede se ciò sia solo sintomatico di un grave disturbo occasionale che però dura ormai dal 2008, o se si tratti di un problema di struttura della società.
Se guardiamo i dati Istat, la denatalità copre l’Italia intera da nord a sud, con pochissime eccezioni. Sul piano nazionale le nascite sono più basse del 3,8 % rispetto al 2019. Si parla di una riduzione su scala regionale dell’11,2 % in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta e del 6,9 % in Sardegna. La regione che rimane più “fertile” è il Trentino- Alto Adige con 1,52 figli per donna.
Il calo delle nascite copre anche i primi figli che si sono ridotti soprattutto al centro. In Umbria -36,7 %, nelle Marche -35,6 % e in Toscana -34,7 %. Ma anche le regioni del Nord vedono cali drastici dalla Liguria a -35,6 % fino alla Lombardia -30 %.
Pochi però sanno i motivi per cui in Italia si fanno sempre meno figli. Qui abbiamo analizzato le motivazioni che spiegano questo malessere.
L’età media delle madri è 31,3 anni quindi 3 anni in più dal 1995
I nati nel 2018 sono 439.747. 1,29 i figli per donna in media e 32 anni l’età del parto. Pensare che nel 2011 l’età era 31,4. Sempre secondo i documenti pubblicati nella sezione Natalità e fecondità l’ultimo dato riferito al 2019 conta 20.000 rispetto all’anno precedente.
Oggi in media si diventa madri all’età di 31,3 anni quindi 3 anni in più rispetto al 1995.
Uno dei primi fattori è sicuramente la stabilità economica e lavorativa.
I giovani entrano sempre più tardi nel mondo del lavoro. Le scelte universitarie hanno allungato di molto i tempi per avere un lavoro fisso e tanti fanno fatica a uscire dalla condizione di precarietà in cui vivono.
Pochi sanno i motivi per cui in Italia si fanno sempre meno figli
Quando la volontà di avere un bambino coincide con la possibilità di mantenerlo, spesso è troppo tardi per l’orologio biologico della donna. L’età media del primo figlio si è allungata tra i 35 e i 39 anni, ed è sempre più difficile pensare di allargare la famiglia.
Per non parlare poi del basso tasso di occupazione femminile (si parla del 47,5%) e della grande differenza tra il salario femminile e quello maschile. Questo penalizza ulteriormente le donne e spesso le conduce a rinunciare alla maternità.
Inoltre episodi di datori di lavoro che hanno deciso in passato o decidono tuttora di licenziare donne che comunicano il loro stato di gravidanza, è un ulteriore dissuasore nel progettare un nido.
E poi gli aiuti alle famiglie in Italia sono pochi e sotto forma di bonus. Le famiglie non vengono sostenute nelle spese di asili, scuola e servizi. E pensare che basti l’assegno universale è uno sbaglio vero e proprio. In altri Paesi è un sostegno in più, non l’unico.