Pochi sanno che ritardare la pensione di un anno anche senza lavorare aumenta l’importo dell’assegno

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Per ogni lavoratore che ha raggiunto una certa età, diventa necessario programmare il proprio pensionamento. Dopo tanti anni di lavoro, infatti, si desidera smettere la propria attività lavorativa per godersi la tanto attesa pensione. La normativa previdenziale italiana, però, è in continuo mutamento con nuove misure sperimentali che vengono aggiunte di anno in anno.

Non avere la sicurezza di quella che sarà la misura utilizzabile per la quiescenza spinge i lavoratori italiani ad anelare al pensionamento anticipato. E a volte si sceglie l’anticipo anche quando questo comporta una penalizzazione sulla pensione spettante. Pochi sanno che ritardare la pensione, però, può portare un reale vantaggio, anche se si decide di non continuare a lavorare. Cerchiamo di capire perchè.

Anticipata con o senza penalizzazioni

Attualmente l’unica misura che prevede penalizzazioni sulla pensione è il regime sperimentale opzione donna. La misura prevede che la lavoratrice possa anticipare la quiescenza per vecchiaia anche di 9 anni, ma richiede la scelta di un ricalcolo contributivo dell’assegno.

Il ricalcolo contributivo, in alcuni casi, comporta un taglio dell’assegno previdenziale spettante che può toccare anche il 35%. Questo significa che se si ha diritto, con il misto, ad una pensione di 2.000 euro, scegliendo opzione donna si potrebbe percepire solo 1.300 euro.

Ovviamente non sempre la penalizzazione è così pesante e dipende dagli anni di contributi che ricadono nel sistema retributivo. Quello di cui non si tiene conto, però, è che anticipando si paga sempre un costo.

Pochi sanno che ritardare la pensione di un anno anche senza lavorare aumenta l’importo dell’assegno

Quello che bisogna considerare quando si decide di andare in pensione prima dei 67 anni è che ogni anno di anticipo ha un costo. Il calcolo della quota di pensione che ricade nel sistema contributivo, infatti, prevede l’applicazione dei coefficienti di trasformazione che cambiano in base all’età.

Il coefficiente di trasformazione diventa maggiormente conveniente con l’aumentare dell’età. Questo significa che a parità di contributi versati l’assegno sarà più alto, ad esempio,  per chi accede a 65 anni invece che a 64.

Facciamo un esempio pratico prendendo in esame un lavoratore con un montante contributivo di 300.000 euro. Per facilità di calcolo consideriamo che tutta la contribuzione ricada nel sistema contributivo (accreditata, quindi, dal 1996 in poi).

Se il lavoratore accede alla pensione a 64 anni avrà diritto ad una pensione annua di 15.180 euro (pensione mensile 1.167 euro per 13 mensilità).  Se lo stesso lavoratore smette di lavorare a 64 anni ma accede alla pensione a 65 anni avrà diritto ad un trattamento annuo di 15.660 euro (pensione mensile lorda di 1.246 euro per 13 mensilità).

Appare chiaro, quindi, che ritardare la pensione anche solo di un anno porta ad avere un assegno previdenziale più alto. Se a questo si somma l’eventuale anno di contributi in più versato si comprende che posticipare la pensione non può che essere conveniente.