Da giovedì 15 ottobre il Museo Poldi Pezzoli espone nuovamente al pubblico uno dei suoi maggiori capolavori, finalmente “recuperato”. Si tratta della Madonna con il Bambino di Andrea Mantegna, restaurato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. È un capolavoro “icona” della Milano di fine Rinascimento, che ha richiesto oltre un anno e mezzo di recupero.
Gli esperti di Cultura di ProiezionidiBorsa vi raccontano, oggi, la sua storia davvero affascinante.
Un’avventura emozionante come una fiction
Per questa grande “avventura” dell’arte è stato fondamentale il sostegno della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti Onlus. La mostra-dossier “Mantegna ritrovato”, presenta l’opera, raccontandone le diverse fasi dell’intervento conservativo. È stato realizzato da Lucia Bresci, sotto la direzione di Cecilia Frosinini dell’Opificio delle Pietre Dure, in collaborazione con Andrea Di Lorenzo, conservatore del Museo Poldi Pezzoli.
“Il restauro del capolavoro – dichiara Annalisa Zanni, direttore del Poldi Pezzoli – è stato un complesso lavoro di squadra, anche grazie al Club del Restauro del Museo. Restauratori, storici
dell’arte, ma anche filosofi, hanno dibattuto a lungo sulle modalità di intervento da effettuare. Volevamo restituire all’opera l’identità conferitale dal suo creatore, prima degli interventi di Giuseppe Molteni che l’avevano resa diversa”.
Debiti di gioco pagati con il quadro
Perché si fa festa a Milano per il ritorno della Madonna di Mantegna al Poldi Pezzoli. Perché questo restauro è stato fortemente adrenalinico per gli attori coinvolti, come un gran premio di Formula Uno per i piloti o un torneo di poker in mondovisione per i giocatori.
E a proposito di gioco: nell’Ottocento questo dipinto apparteneva allo storico dell’arte Giovanni Morelli (1816-1891). Egli era fra i più rilevanti conoscitori di opere d’arte antiche della sua epoca.
Nel 1861 la tela fu alienata per 2.000 lire a Gian Giacomo Poldi Pezzoli. La vendita venne effettuata per pagare un debito di gioco di Morelli. Nell’inventario, redatto nel 1879, alla morte di Gian Giacomo, il valore attribuito all’opera da Giuseppe Bertini, primo direttore del Museo Podi Pezzoli, era già otto volte di più, 15.000 lire.
Perché si fa festa a Milano per il ritorno della Madonna di Mantegna al Poldi Pezzoli
Gian Giacomo Poldi Pezzoli nel 1863 aveva fatto restaurare il dipinto a Giuseppe Molteni, direttore della Pinacoteca di Brera, ritrattista, amico della famiglia Poldi Pezzoli.
Molteni era noto nell’ambiente artistico per i suoi interventi di tipo “integrativo”. Pretendeva di migliorare l’aspetto estetico dei quadri antichi, secondo il gusto accademico in vigore all’epoca.
Gli interventi effettuati da Giuseppe Molteni (1800 – 1867) nel XIX secolo avevano modificato a tal punto l’aspetto del dipinto da renderlo difficilmente giudicabile.
Non a caso, l’opera era stata attribuita dalla critica alle più varie fasi dell’attività di Mantegna. Dal periodo giovanile trascorso a Padova, all’inizio del soggiorno mantovano del pittore, avvenuto tra il 1462 e il 1470, fino alla sua tarda attività, nell’ultimo decennio del Quattrocento.
Il recupero della pittura originale di Mantegna consente ora di esprimere un giudizio più sicuro sull’opera, databile, quindi, poco dopo il 1490.
Le scoperte dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze
Perché si fa festa a Milano per il ritorno della Madonna di Mantegna al Poldi Pezzoli è presto detto. Invece di qualche mese, si è dovuto aspettare un anno e mezzo.
L’Opificio delle Pietre Dure ha iniziato l’intervento conservativo nel marzo 2019.
Dapprima ha svolto un’approfondita campagna diagnostica che ha permesso di comprendere a fondo la tecnica esecutiva, lo stato conservativo del dipinto e gli interventi arbitrari di Molteni.
Tanto per fare qualche esempio, Molteni aveva impreziosito la veste rossa della Vergine con marezzature dorate. E aveva ridipinto completamente il manto blu dal risvolto verde, i cui pigmenti originali si erano irrimediabilmente alterati.
Egli aveva addirittura prolungato, di sua iniziativa, le braccia di Maria sui bordi laterali, dando l’impressione che i personaggi si stagliassero davanti a una finestra. Alterando l’impostazione compositiva e prospettica data all’immagine dall’artista padovano.
Un manto dal panneggio sospetto
L’Opificio delle Pietre Dure, ha spiegato il Soprintendente Marco Ciatti, ha studiato il manto della Vergine, scoprendo una doppia versione pittorica: una stesura in Blu di Prussia, caratterizzata da un panneggio di gusto tipicamente ottocentesco, riconducibile, quindi, alla mano di Molteni; e, al di sotto di questa, una stesura ancora molto integra in Azzurrite, nella quale si è potuta riconoscere la versione pittorica originale.
Anche il ricco motivo dorato che decorava la veste rossa era quasi interamente da attribuire a Molteni: le pennellate di oro in conchiglia possedevano un carattere eccessivamente pittorico e seguivano motivi di fantasia ricostruttiva.
Infine, la vernice a mastice, con la quale il restauratore intendeva proteggere gli strati pittorici, aveva alterato profondamente l’opera: non era un dipinto a olio ma a tempera magra.
L’intervento di restauro ha previsto, dunque, la graduale rimozione della vernice che alterava l’aspetto originale dell’opera, restituendogli l’effetto opaco della superfice, a imitazione degli stendardi o della pittura murale.