Perché gli italiani sono ultimi in Europa per istruzione?

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Perché gli italiani sono ultimi in Europa per istruzione? L’ISTAT ha appena pubblicato i dati relativi ai livelli di istruzione e ai ritorni occupazionali in Italia. Quello che se ne evince è decisamente sconfortante.

La quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è il principale indicatore del livello di istruzione di un Paese. Il diploma è considerato, infatti, il livello di formazione indispensabile per partecipare con potenziale di crescita individuale al mercato del lavoro. In Italia, nel 2019, tale quota è pari a 62,2% (+0,5 punti rispetto al 2018). Un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (78,7% nell’UE28). Ma anche a quello di alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione. 86,6% in Germania, 80,4% in Francia e 81,1% nel Regno Unito. Solo Spagna, Malta e Portogallo hanno valori inferiori all’Italia.

Non meno ampio è il divario rispetto alla quota di popolazione di 25-64enni con un titolo di studio terziario. In Italia, si tratta del 19,6%, contro un valore medio europeo pari a un terzo (33,2%). Anche la crescita della popolazione laureata è più lenta rispetto agli altri paesi dell’Unione. L’incremento è di soli +0,3 punti nell’ultimo anno (+0,9 punti in media UE). E di +2,7 punti nell’ultimo quinquennio (+3,9 punti). I livelli e la velocità di cambiamento di questi indicatori risentono della struttura demografica della popolazione. Ed anche della sua evoluzione. Per questo sono stati identificati più indicatori. Indicatori in grado di dar conto bene del posizionamento dei diversi paesi. Soprattutto, dei sentieri di sviluppo del grado di istruzione della popolazione. Ed anche delle sue relazioni con il successo sul mercato del lavoro

Perché gli italiani sono ultimi in Europa per istruzione?

Il tasso di occupazione della popolazione laureata italiana è superiore solo a quello greco. Ed è di ben 5 punti più basso di quello medio europeo (81,4% contro 86,3%). Tale differenza si riduce al crescere dell’età. Ma si annulla solo nelle classi di età più mature, dai 50 anni in su.

Nel nostro paese le opportunità occupazionali sono minori anche per coloro che raggiungono il più alto livello di istruzione. Il “premio” che ne deriva, è però elevato. Inteso come maggiore occupabilità al crescere del titolo di studio conseguito, ovviamente. Ed è in linea con quanto si osserva nella media dell’Unione. Nel 2019, l’occupazione tra i laureati di 25-64 anni è di quasi 30 punti (28,6) più elevata di quello registrato tra chi ha conseguito al massimo un titolo secondario inferiore (la differenza è di 29,0 punti nella media Ue). Il risultato deriva dalla somma del vantaggio occupazionale (pari a 18,6 punti) di chi ha un titolo secondario superiore. Vantaggio rispetto a chi ha un titolo secondario inferiore. Ed ovvio vantaggio (10,0 punti) su chi ha un titolo di studio terziario rispetto a chi ha un secondario superiore. Le differenze in media UE sono rispettivamente 19,6 e 9,4 punti.

Inoltre, per la popolazione laureata il tasso di occupazione ha risuperato il valore del 2008, anno di avvio della crisi economica mondiale. Per per la popolazione diplomata il tasso del 2019 è ancora di circa il 3% inferiore. Si è così registrata la maggior perdita di posti di lavoro durante la crisi, e la ripresa più debole. Il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma è dunque in aumento.

Perché questi risultati così scarsi?

La scuola italiana necessita di svecchiamento. Ci vorrebbero strutture migliori, docenti più giovani, ma soprattutto più preparati. Una ben maggiore digitalizzazione. Ed una vera meritocrazia per gli insegnanti. Infine, i dirigenti dovrebbero avere la possibilità di chiamare i migliori insegnanti. Ovviamente con una retribuzione superiore alla media. Tutte cose che dovrebbero avvenire, fossimo in una nazione normale. Ma siamo dove siamo, purtroppo.