Non può essere preteso un comportamento quando questo sia divenuto impossibile per cause di forza maggiore, senza colpa di chi vi sia tenuto. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 24308 del 03/11/2020, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di forza maggiore e spettanza di agevolazioni fiscali. Nel caso di specie, la controversia aveva per oggetto l’impugnazione da parte di una società di un avviso di liquidazione concernente le imposte di registro, ipotecaria e catastale. L’avviso era stato emesso a seguito della revoca delle agevolazioni fiscali, visto l’omesso ritrasferimento dell’immobile nel triennio. L’ente impositore aveva accertato che la contribuente non aveva provveduto al ritrasferimento degli immobili entro tre anni dalla data di acquisto. Requisito richiesto dalla disposizione ai fini del riconoscimento dell’agevolazione. In particolare il beneficio riguardava la tassazione agevolata all’1% per l’acquisto di fabbricati da parte di imprese che abbiano per oggetto esclusivo o principale la rivendita di immobili.
E in tal caso, appunto, la normativa prevede che, per godere dell’agevolazione, essi debbano essere alienati prima del decorso di tre anni dalla data di acquisto. La contribuente eccepiva la sussistenza di un impedimento oggettivo, in considerazione del fatto che gli immobili acquistati erano risultati, successivamente al trasferimento immobiliare, parzialmente abusivi. Nel 2008, antecedentemente alla vendita, era stata peraltro presentata istanza di condono poi concesso solo nell’anno 2010. Ma poi i lavori di ristrutturazione furono sospesi dal Comune in più occasioni. Prima per ottenere la documentazione comprovante le autorizzazioni che l’ente già possedeva. Poi per chiarimenti non indispensabili. L’ente revocava poi, in via di autotutela, uno dei provvedimenti di sospensione dei lavori. Nel frattempo, il Tar annullava l’altro atto di sospensione.
La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso, mentre la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello.
I giudici di secondo grado affermavano infatti che le circostanze dedotte dalla contribuente era tali da integrare una
impossibilità oggettiva di procedere alla vendita nel triennio. E questo sia in conseguenza della legale inalienabilità degli immobili abusivi, e sia dal punto di vista materiale, avendo documentato tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori. L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione, deducendo l’erroneità della sentenza che aveva ritenuto sussistere cause di impedimento da forza maggiore, che erano invece prevedibili e prevenibili con l’ordinaria diligenza. Rilevava l’Amministrazione come fosse infatti onere della contribuente valutare la documentazione tecnica ed amministrativa relativa agli immobili che si accingeva ad acquistare.
La decisione
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata. Evidenziano i giudici che laddove si verifichi il mancato ritrasferimento del bene, il contribuente decade dalla agevolazione della tariffa ridotta. Salva la dimostrazione di impedimento per causa di forza maggiore. La forza maggiore è da intendere come un evento imprevedibile, inevitabile e non imputabile, tale da sovrastare, precludendone obiettivamente la realizzazione, la volontà dell’obbligato. In generale, dunque, la causa di forza maggiore è soltanto quella sopravvenuta, che non dipende da un comportamento addebitabile, anche solo a titolo di colpa.
Dall’ordinamento è ricavabile la regola per cui non può essere preteso un comportamento quando questo sia divenuto impossibile per cause di forza maggiore, senza colpa di chi vi sia tenuto. La forza maggiore va quindi configurata come una esimente, poiché il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto, imprevedibile ed irresistibile. E anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia, aggiunge la Cassazione, ha chiarito che essa non si limita all’impossibilità assoluta.
Conclusioni
La forza maggiore comporta la sussistenza di un elemento oggettivo (circostanze anormali, estranee all’operatore) e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo di premunirsi contro le conseguenze dell’evento adottando misure appropriate. E nella specie, a conferma della sussistenza anche dell’elemento soggettivo, vi era inoltre l’infedele dichiarazione dell’alienante in merito alla regolarità edilizia e la negligente condotta del notaio rogante. E tutto questo oltre alla sopravvenuta, illegittima, sospensione dei lavori di ristrutturazione ad opera del Comune, con provvedimenti revocati o annullati in sede di autotutela. Neppure dalla stessa amministrazione comunale aveva rinvenuto la documentazione amministrativa, comprovante la legittimità urbanistica degli edifici alienati.
E, secondo la Cassazione, anche la circostanza secondo la quale l’acquirente, operando nel settore immobiliare, aveva quella competenza necessaria per accertare l’abusività dell’edificio, era infondata. L’ente locale aveva infatti archiviato le istanze di condono e la relativa documentazione urbanistica degli immobili, secondo modalità che ne avevano impedito il ritrovamento per molto tempo. E dunque l’acquirente, neppure attraverso l’accesso agli atti amministrativi, avrebbe avuto la possibilità di riscontrare eventuali difformità urbanistiche.