Muffe nei cibi: quali sono buone e quali cattive

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Muffe nei cibi: quali sono buone e quali cattive. La parola agli igienisti alimentari.Una guida per capire in fatto di muffe nei cibi quali sono buone e quali cattive

“Gradisce un piattino di muffa?”. Se qualcuno ci apostrofasse così, penso che sarebbero ben pochi a farsi scrupoli nel rispondere a tono. Ma ciò che, in prima approssimazione, può sembrare una provocazione, nella realtà potrebbe celare grosse verità. Se infatti sul piattino, senza troppe frasi ad effetto, ci vedessimo offrire un crostino con su spalmato del gorgonzola fresco, forse la musica cambierebbe all’istante.

Ma come? Alcuni prodotti, carichi di muffa, non solo vengono tranquillamente commercializzati, ma diventano persino delle prelibatezze. Mentre, guai ad ingerire croste di pane ammuffito che rimangono in fondo al porta-pane. Forse c’è qualcosa che non torna o che non si conosce a sufficienza. Vediamo quindi, grazie agli interventi di alcuni esperti del settore, di capire meglio il tema delle muffe nei cibi quali sono buone e quali cattive.

Muffe: cosa sono

Stando alle dichiarazioni rilasciate da biologi e componenti della Commissione di studio per l’igiene, sicurezza e qualità dell’Ordine nazionale dei biologi, le muffe appartengono al regno dei funghi. Così inquadrata la questione già assume connotazioni diverse. Ed infatti, sin dai tempi che furono, i funghi hanno dato contributi significativi in fatto di alimentazione umana. Da qui l’utilità di alcune muffe. Vediamo quindi di procedere, passo passo, sulla scorta di queste recenti dichiarazioni.

Quali sono buone e quali cattive

Il caso del gorgonzola, sopra citato, consente d’introdurre l’argomento più amplio delle muffe nei formaggi cosiddetti “erborinati”, cioè striati di muffa verde, grigia o blu. Delle vere e proprie prelibatezze, impossibili da ottenere senza questo quid in più saporito. Tra le specialità italiane, oltre al lombardo gorgonzola, anche il blu di capra di origine piemontese. Buttando uno sguardo poi oltre confine, anche il francese Roquefort, non è certo da meno. Queste sono muffe che gli addetti del settore, definiscono “starter”, ben altro discorso deve invece farsi per quelle che sopraggiungono qualche tempo dopo l’acquisto.

Muffe nei formaggi

In casi del genere, laddove si dovesse vedere la comparsa di muffe sui formaggi stagionati, il consiglio degli igienisti alimentari, è quello di ripulire accuratamente e tagliare via la parte interessata. Quanto all’utilizzo successivo dei suddetti formaggi, meglio sarebbe consumarli cotti per qualche ripieno. Nel caso invece di formaggi e latticini freschi, come yogurt, mozzarella, ricotta, stracchino, via tutto nella pattumiera. Il diverso passo si spiegherebbe perché, in quest’ultimo caso, le micotossine sarebbero già disperse in tutto il prodotto.

Nel pane

Nel caso di pane ammuffito, il consiglio è di non provare nemmeno a ripulirlo, visto che quando la muffa si rende visibile, il fungo è già penetrato in profondità, contaminando tutto il prodotto. Per cui, occhio anche ai porta pane, molto probabilmente anch’essi contaminati. In casi del genere, meglio detergere e disinfettare tutto.

Quali rischi si corrono se si fa uso di alimenti muffiti

Comunque sono sempre i biologi e igienisti a tranquillizare sul fatto che un’assunzione sporadica di alimenti vagamente muffiti, non provoca danni per la salute. A meno che la persona non soffra di particolari intolleranze e allergie, quindi più sensibile della media degli individui. In linea di massima, si può comunque dire che problemi possono insorgere, quando l’assunzione di cibo verdognolo diventa una costante. Caso forse più unico che raro ma che merita segnalare per mettere in guardia le persone più superficiali in fatto di alimentazione.

Discorso a parte va fatto nel caso d’ingestione costante di prodotti come cereali e latte o frutta secca. In questi casi, infatti, le micotossine sarebbero particolarmente pericolose, al punto da indurre le istituzioni ad intervenire con normative comunitarie ad hoc. I produttori sono quindi obbligati dalla legge a controllare gli alimenti, prima della loro immissione sul mercato. Se è vero il detto che l’occhio del padrone ingrassa il cavallo, anche l’occhio del legislatore “ingrassa” i consumatori.