Facciamo il punto della situazione sulla crisi dell’eurozona, rispondendo a diversi interrogativi che l’attualità pone alla nostra attenzione.
Negli ultimi mesi, rispetto a possibili soluzioni della crisi abbiamo più volte assistito ad una sorta di braccio di ferro fra Angela Merkel, la Francia del neo presidente Hollande, e l’Italia di Monti.
Sopratutto Hollande e Monti avevano proposto diversi strumenti, parte finalizzati a combattere la speculazione internazionale, e parte finalizzati a far ripartire le economie europee, attualmente stagnanti.
In particolare, il fondo salvastati è stato concepito quale strumento che, in assenza di investitori disposti ad investire nel debito pubblico, dovrebbe intervenire acquistando titoli di stato dei paesi dell’eurozona , che ne facciano richiesta, mentre i provvedimenti antispeculazione riguardano sempre acquisti di titoli, ma non tanto o non solo per garantire una copertura finanziaria alle emissioni di titoli del debito pubblico, ma contro la speculazione ribassista, che comporta ovviamente un aumento dello spread nei rendimenti, soprattutto rispetto al benchmark tedesco.
Chiaro che contro la speculazione ribassista si è pensato ad un fondo che acquistasse.
Un’idea comunque per nulla nuova, ricalcando vecchie funzioni così della Banca d’Italia, come di banche centrali di altri paesi, che avevano l’obbligo di acquistare titoli di stato di nuova emissione, su richiesta del ministero del tesoro, garantendo una copertura nel caso una parte del quantitativo messo in asta non venisse sottoscritto.Effettivamente, sino a qualche tempo fa, la Merkel era contraria.
Il perché risulta abbastanza chiaro: visto che la Germania, anche sotto il profilo dei conti pubblici, come dire…, sta decisamente meglio di altri paesi, ovviamente l’atteggiamento della Merkel esprimeva certe preoccupazioni tedesche, concentrate sui costi di tali strumenti.
Chiaramente, i fondi che servono ad acquistare titoli del debito vanno finanziati, il che significa domandare ai paesi dell’eurozona un contributo finanziario in più, magari sostenuto da maggior pressione fiscale, oppure emettere, come è stato proposto, degli eurobonds, cioè una sorta di titoli obbligazionari europei, il che comporta comunque un allargamento del debito.
Vediamo, quindi, quali siano le principali preoccupazioni contro questi strumenti.
Intanto, come abbiamo detto, la preoccupazione di larga parte dei tedeschi di dover finanziare la sostenibilità di debiti di altri paesi, messi peggio del loro.
In fondo, molti tedeschi si domandano: se gli altri paesi sono stati meno virtuosi di noi, perché dovremmo togliergli le castagne dal fuoco? Una seconda preoccupazione riguarda l’allentamento della politica monetaria.
I tedeschi, memori di quel che successe nel periodo della repubblica di WEIMAR, intendono evitare spinte inflazionistiche, e temono quindi anche una politica basata sulla stampa o la circolazione di un eccessivo quantitativo di carta moneta.
Tuttavia, nel recente vertice europeo, tenutosi qualche settimana fa, pare che la divergenza iniziale sia stata superata, e che i provvedimenti ipotizzati, che prima trovavano l’opposizione della Merkel, siano stati approvati anche con il consenso di quest’ultima.
Cos’è successo?
La verità è che la Merkel, intanto, non ha fatto un grande sforzo, per un motivo molto semplice.
L’applicazione pratica di provvedimenti, come ad esempio i fondi salva stati, deve passare, in Germania, anche il filtro di una sentenza della corte costituzionale, che con ogni probabilità boccerà come incostituzionale detto provvedimento.
Quindi, si fa una bella figura, nel dimostrarsi concordi con gli altri partners europei, sapendo che poi, probabilmente, il conto non verrà mai saldato.
E’ peraltro evidente che un tale atteggiamento tedesco pone un pressante interrogativo, sul quale si è concentrata l’attenzione di molti media: ma la Germania preferirebbe uscire dall’euro?
Il quesito non è puramente teorico, vista la mole di studi finanziari sui costi di un’eventuale uscita dall’eurozona, che sono circolati e tuttora circolano in Germania.
Per certi versi, analizzando a fondo la questione, possiamo anche dire che la Merkel si è trovata di fronte ad una questione bifronte, per un verso assumendo, anche formalmente, sino a qualche tempo fa, il ruolo di difensore dei conti e degli interessi nazionali tedeschi, ma per altro verso, il ruolo di colei che, per un attaccamento eccessivo agli interessi nazionali, poteva passare come la principale responsabile della fine dell’euro.Di qui il fondamentale quesito se la Germania, o meglio la cancelliera Merkel, a questo punto privilegi l’uscita dall’euro o meno.
Ovviamente, su questo punto, possono esserci opinioni molto differenziate.
A mio modesto parere, la Merkel privilegia il mantenimento della Germania nell’eurozona e che quest’ultima venga salvaguardata sostanzialmente nella forma attuale, con i paesi che già la compongono.
E con questo, quindi, ho anche già risposto, implicitamente, alla domanda se l’euro si salverà o no.
La risposta è positiva, perché il permanere della stessa Germania in un’eurozona ha senso, come ti spiegherò a breve, solo se continuano a rimanerci gli altri paesi.
Vediamo, quindi, perché ipotizzo la preferenza della Merkel per il mantenimento di un’eurozona, come attualmente strutturata.
Intanto, fosse anche solo per calcolo elettorale e politico, si deve considerare che il partito di cui la cancelliera è leader, la CDU, che ha come confratella la CSU bavarese, una sorta di democrazia cristiana tedesca, appartiene a quell’alveo di forze di centrodestra, tradizionalmente favorevoli all’eurozona.
Un fallimento sotto questo fronte, rappresenterebbe una gravissima perdita d’immagine, e la Merkel passerebbe come colei che ha tradito nobili ideali europei, professati da suoi illustri predecessori.
Ma, come se questo non bastasse, esistono anche rilevanti interessi economici in tale direzione.
Intanto, devi anche considerare che certi calcoli, sui costi economici di un’eventuale uscita dall’euro, sono stati recentemente visti al rialzo, e questo significa che l’eventuale rottura dell’eurozona, anzi, per essere più precisi, l’uscita della Germania (chiaro che questo peraltro coinciderebbe con la fine dell’euro, essendo difficilmente pensabile alla persistenza di un’eurozona senza Germania) sarebbe anche vista come una vera e propria catastofe, la cui responsabilità non credo che la Merkel abbia alcuna voglia di assumersi.
Ma tutto ciò non basta.
Devi anche considerare che parte cospicua dell’elettorato della Merkel è rappresentato da soggetti con consistenti interessi imprenditoriali, ed indovina un po’ per quale principale motivo, a suo tempo, paesi come Francia e Germania vollero l’eurozona?
Tra questi motivi, indubbiamente, ha avuto particolare rilievo l’obiettivo di conseguire maggiori fatturati, da parte delle imprese francesi e tedesche, al di là dei confini di casa propria, ed in particolare in paesi dove dominavano, invece, i prodotti italiani, o comunque prodotti di paesi con monete più deboli del franco e del marco.
La costituzione di un’eurozona, quindi, rappresentava anche la creazione di un’unica moneta, che avrebbe ad esempio impedito che la svalutazione di alcune monete, come la lira, consentisse una competitività italiana basata su prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli di prodotti francesi e tedeschi.
Con una moneta unica, tali svalutazioni competitive non sono più state consentite, e la conseguenza è che imprese tedesche e francesi hanno incrementato il proprio fatturato estero a tutto svantaggio delle imprese italiane, e di quelle di paesi a valuta più debole.
Certo, il loro interesse non è quindi quello di un ritorno alla situazione preeuro.
E’ proprio di questi giorni una polemica mossa dalla Fiat, tramite le parole di Marchionne, che ha accusato la Volkswagen di operare una scorretta concorrenza di prezzi, agevolata dai minori costi cinesi.
Credi che la Volkswagen voglia vedersi mangiare questo vantaggio competitivo, ritornando ad una situazione preeuro, così da vedersi svanire, in tutto o in parte, quel vantaggio competitivo?
Non credo, ed infatti, a seguito di un ritorno di prezzi più competitivi dei prodotti italiani, il vantaggio di cui gode la Volkswagen verrebbe almeno in parte meno.
Ovviamente tale posizione vale anche per le altre aziende tedesche.
Ma allora, ti domanderai, come potrà la Merkel rendere compatibile la permanenza nell’eurozona con la sua rigidità, rispetto alle soluzioni proposte da altri paesi?
La risposta, in parte, l’ho già indicata; formalmente dichiarandosi favorevole, tanto sa che è coperta dallo scudo offerto dalla corte costituzionale tedesca, e sostanzialmente aspettando soluzioni che non pesino sulle finanze tedesche
Come?
Ovviamente soluzioni come i fondi cosiddetti salvastati non sono le uniche possibili, rivestendo un ruolo importante anche istituzioni come la BCE.
La banca centrale europea ha il compito, per statuto, soprattutto di contenere su livelli bassi l’inflazione, e per far questo regola la creazione di nuova moneta.
Se il tasso d’inflazione tende a superare certe soglie, allora la BCE ritira denaro dal mercato, vendendo titoli di stato, e quindi incassa denaro da soggetti istituzionali, come le banche cui vende i titoli.
In questo modo, togliendo liquidità dal mercato, il quantitativo di denaro in circolazione tende a diminuire, e come noto, una minor circolazione di denaro tende a calmierare i prezzi.
Viceversa, se ritiene che il tasso d’inflazione sia troppo basso, allora compie l’operazione opposta, cioè acquista titoli di stato da operatori di mercato, come le banche, e così immette moneta di nuova creazione nel sistema.
L’avversione dei tedeschi per una cosiddetta politica monetaria espansiva, come quella poc’anzi descritta a proposito della BCE, deriva, come ti ho spiegato, da timori inflazionistici.
Fu soprattutto la svalutazione della moneta, nella repubblica di Weimar, cioè la repubblica tedesca in vigore prima dell’avvento del nazismo, a determinare le condizioni di una grave crisi economica, ed i prodromi della futura dittatura.
Il perché un eccesso di produzione monetaria crei inflazione è presto detto:
il denaro, la moneta, oggi, non è più convertibile in metalli preziosi, come l’oro.
Qual’è, quindi, il valore della moneta?
In pratica, questo valore fa riferimento alla ricchezza di un determinato stato, data dai beni e servizi prodotti.
Soprattutto se questo valore non aumenta (il che è quanto tipicamente avviene in situazioni di crisi economica), un maggior quantitativo di moneta in circolazione rappresenta, in sostanza, una situazione del tutto analoga a quella che si viene a creare quanto una torta viene suddivisa in un maggior numero di fette.
Ovvio che la torta è sempre la stessa, ma la fetta è più piccola.
Con le monete è un po’ la stessa cosa.
Se il valore della produzione di un determinato paese, come espresso dal PIL, è sempre lo stesso, viene logico dedurre che un raddoppio della quantità di moneta in circolazione porterebbe ad una diminuzione del potere d’acquisto di circa la metà.
Ed a tale riguardo s’inseriscono le recenti parole di Draghi, il quale ha richiamato tra i compiti della BCE la salvaguardia della moneta unica.
Questo significa, se del caso, sostenere l’euro con una politica monetaria espansiva, cioè basata sulla creazione di nuova moneta, che entrerebbe in circolazione, favorendo la ripresa.
Una politica di ripresa economica favorirebbe peraltro anche la soluzione della crisi del debito, consentendo, a sua volta, maggiori introiti fiscali.
Se, quindi, la BCE adotterà provvedimenti favorevoli al rilancio economico, come quelli descritti, la Merkel vedrà salvaguardato l’euro, senza dover fare i conti con altre situazioni, meno piacevoli per le finanze tedesche.
Ma sono solo quelle considerate sinora le possibili soluzioni?
Forse no.
Vorrei aggiungere, arrivati a questo punto, un’idea un po’ fantasiosa, di quelle che si potrebbero forse definire idee di fantafinanza
Ed ecco che, a tal riguardo, si inserisce una (forse) arguta idea di taluni pensatori.
Secondo costoro bisognerebbe nuovamente consentire agli stati o ad un’autorità centrale europea il potere di emettere denaro ma, e qui sta la differenza, senza rendere le banconote progressivamente numerate, e mantenendo riservato il quantitativo monetario di nuova emissione.
Ai fini dell’individuazione di carta moneta falsificata, infatti, esistono diversi metodi, a prescindere dalla numerazione, mentre questa innovazione sarebbe introdotta soprattutto a fini economici.
Se, infatti, è il quantitativo di moneta a determinare un suo eventuale deprezzamento, ecco che se si decide di non rendere più noto il quantitativo di moneta in circolazione, allora non si potrà determinare un deprezzamento della stessa.
Questo passa, infatti, dalla conoscenza che si sta creando nuova moneta, ma se il dato relativo a ciò non viene reso noto…
L’obiezione è che potrebbe scatenarsi una speculazione contro quegli stati che adottassero un siffatto provvedimento, ma è ovvio che se il principio venisse condiviso dai principali paesi, non solo in Europa, ma anche in america, la speculazione non avrebbe senso, perché non ci sarebbe un paese che rende noto il quantitativo di nuova moneta prodotto ed un altro no.
Intendiamoci: una contabilità interna esisterebbe sempre, ma il dato rimarrebbe riservato.
In questo modo, non avrebbe ragion d‘essere né la svalutazione, né la speculazione contro una singola moneta.
In pratica, la creazione di nuova moneta, senza però rendere conto del quantitativo prodotto, potrebbe essere un sistema utilizzato da singoli stati o dalla BCE per coprire fabbisogno, disavanzi e debito.
Il quantitativo di moneta così prodotto da uno stato, o distribuito dalla BCE, potrebbe servire a coprire deficit e debito pubblico, mentre la riservatezza del dato dovrebbe proteggere da spinte inflattive e speculative.
In pratica, uno stato non dovrebbe mai dichiarare se copre deficit e/o debito tramite altre entrate, come l’imposizione fiscale, oppure tramite creazione di nuova moneta.
Sarebbe una prerogativa pubblica, a livello statale, o tramite nuova moneta creata dalla BCE, e di cui eventualmente gli stati potrebbero usufruire senza neppure la necessità di emettere, in cambio, titoli di stato.
Quest’idea nasce dalla considerazione che non è un fenomeno in quanto tale, a determinare certe conseguenze, ma la conoscenza di quest’ultimo.
Eliminata la conoscenza, è come se una determinata circostanza (in questo caso la creazione di nuova moneta) non si fosse verificata.
Idea da fantafinanza?
Chissà, talora molte idee, originariamente ritenute folli o irrealizzabili, hanno poi consentito di risolvere situazioni anche molto complesse.
Che questa sia una di quelle?