I motivi per cui i mercati potrebbero crollare? La struttura grafica continua a scricchiolare! Ma andiamo oltre.
Riprendo, in questo articolo, una serie di riflessioni relative alle motivazioni, che spingono per un ribasso dei mercati azionari dal punto di vista macroeconomico e di analisi dei fondamentali.
A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT
Ecco i temi trattati:
- Economia USA: quali prospettive?
- Relazione tra economia e quotazioni USA.
- La situazione europea: conferme della curva dei rendimenti.
- La situazione in aree extraeuropee.
- Il nodo italiano.
Come più volte ricordato, nessuna delle ultime recessioni negli USA è arrivata all’improvviso, senza che vi fossero segnali anticipatori da parte della curva dei rendimenti.
Ogni volta che la curva si è appiattita o invertita, è seguito un mercato bearish di lungo termine, a sua volta premonitore di una fase recessiva.
Da qualche tempo, come noto, la curva statunitense si è ancora una volta appiattita, ed in particolare i dati relativi al settore immobiliare USA hanno poi confermato una flessione, che si è a sua volta riflessa in alcuni indici settoriali di borsa, che paiono essere anticipatori del ribasso sugli indici più generalisti.
Ma sono anche le valutazioni eccessive raggiunte dai fondamentali degli indici a comportare il rischio, che pare già concretizzarsi, di un trend ribassista di lungo dei mercati.
Considerando il tasso del decennale USA, pari al 3,11 per cento, aggiungendo un premio del 5 per cento per il maggior rischio azionario, otteniamo un tasso che consente di definire il p/e di equilibrio, dividendo il numero 1 per questo tasso composito (metodo Fed modificato).
Quindi avremo: 1/0,0811, da cui otteniamo 12,33.
Questo il valore di p/e di equilibrio degli indici USA in base ad un metodo analitico, ritenuto preferibile a metodi cosiddetti empirici, come le medie storiche, che per loro natura non tengono ovviamente conto di fattori macroeconomici, come i rendimenti obbligazionari.
Consideriamo quindi gli attuali valori del p/e di alcuni principali mercati USA, in base alle stime sugli attuali utili aziendali ed in relazione alle stime di utili per il prossimo anno.
Otteniamo, rispettivamente, i seguenti p/e:
Dow industrial: 21 e 16,39.
Nasdaq 100: 22,9 e 19,35.
S & P 500: 22,3 e 16,75.
I secondi p/e, più bassi dei primi, dipendono dal fatto che per il prossimo anno è previsto un incremento degli utili, tale da comportare, sugli attuali livelli di quotazione, un minor valore del rapporto p/e.
Tuttavia è anche evidente che, nonostante un incremento degli utili, i p/e rimangono comunque al di sopra di quello che dovrebbe costituire il fair value di equilibrio, pari ad un p/e, come abbiamo detto, di 12,33.
I livelli di sopra valutazione dei mercati sono quindi:
Dow industrial: sopra valutazione, rispettivamente, del 70 e del 32 per cento.
Nasdaq 100: 75,7 e 56,9 per cento.
S & P 500: 80 e35 per cento.
Come si nota, nonostante il denominatore del ratio p/e sia destinato a incrementarsi, a fronte di una proiezione di maggiori utili, questo non è sufficiente a colmare il divario rispetto al fair value di equilibrio.
Perché gli attuali prezzi dei mercati corrispondano ad un p/e di 12,33 occorre che gli utili aumentino del 75/80 per cento, mentre il tasso di crescita previsto, nella migliore delle ipotesi, è attorno al 30/35 per cento.
C’è quindi un problema di quotazione a premio, che certo non viene agevolato dalle proiezioni ribassiste della curva dei rendimenti.
Ed anche la situazione post elezioni di midterm non aiuta, dal momento che un presidente maggiormente condizionato dal congresso USA incontra maggiori difficoltà nel dar vita a misure che potrebbero ulteriormente incrementare gli utili aziendali.
Anche solo tali elementi sono forieri di tinte fosche per le borse internazionali, vista la correlazione con i listini americani.
Ed a questo punto poco contano i livelli di quotazione a premio o a sconto dei mercati in ambito europeo.
Anche perché la stessa eurozona si trova ad affrontare due nodi di non poco conto.
La manovra italiana, secondo molti, non fa che creare una sostanziale instabilità, con timori complessivi per l’eurozona, e da cui i listini non possono non essere condizionati.
A tale elemento, però, si aggiunge un ulteriore fattore di non poco conto, la situazione tedesca, che comincia a vacillare in termini di Pil, come del resto da noi previsto in precedenti articoli.
Anche questa situazione, come appunto previsto in precedenti analisi, in quanto proiettata dalla curva dei rendimenti, onestamente non ci stupisce.
E certamente, se vacilla quello che è considerato il motore economico europeo per eccellenza, quello appunto tedesco, è ovvio che il comparto azionario e i mercati dell’ eurozona ne risenta in misura sostanziale.
Solo un ribaltamento di questa situazione, con utili che negli USA salgano il prossimo anno del 75/80 per cento, e un’economia tedesca che sorprenda in positivo, potrebbe a questo punto rilanciare il comparto azionario.
Ma, come la storia ci insegna, la curva dei rendimenti è quasi sempre indice proiettivo non voglio dire infallibile, ma comunque dotato di un significativo livello di attendibilità, ed anche per questo quelle che sono state “sorprese” per diversi analisti, come la crisi dell’immobiliare USA o i dati tedeschi, per noi non lo sono state, anticipando, sotto il profilo economico, i tempi bui che stanno ormai addensandosi sui mercatii, come nubi cariche di tempesta, sui cieli finanziari di USA ed eurozona.
Dal canto loro, però, anche altre aree geoeconomiche non prospettano scenari positivi.
Il nord Europa risente della situazione tedesca e delle incertezze, che tuttora dominano lo scenario della Brexit.
Se infatti la curva dei rendimenti britannica è piatta/discendente su ampi tratti, anche i paesi nordici ne risentono con conseguenti segni di tensione finanziaria sulla rispettiva curva.
Vediamo ad esempio la curva della Svezia:
Nel caso della Germania analoga curva ci aveva fatto prevedere le “sorprese” negative relative al pil teutonico.
Ma anche dall’altra parte del mondo, in Asia, le cose non stanno andando per il verso giusto.
Non intendo annoiare il lettore con troppi grafici, quindi mi limito ad inserire il grafico del pil giapponese.
A parte le pregresse considerazioni, vi sono comunque significativi indizi che l’economia di molte aree geografiche stia passando ad una nuova fase dei cicli di lungo termine di Kondratieff, denominata estate.
Ciclo con le seguenti caratteristiche: inflazione e tassi crescenti ed elevati, crescita economica e borsa in ribasso.
Pertanto, come notiamo, anche in presenza di crescita economica, dovrebbe invertirsi la forza relativa dei mercati azionari, rispetto ad altri asset, con una borsa decrescente, quanto meno a valori deflazionati.
Immaginiamo quindi cosa può succedere in caso di economia stagnante o recessiva, come anticipato da molte curve dei rendimenti, ed ora confermato a “sorpresa” (ripeto: NON per il sottoscritto) ad esempio dai dati sul pil tedesco.
Mercati verso un crash o ribasso di lungo? Appare probabile.