Ogni volta che inizia il mese di Dicembre, da qualche parte si legge che presto dovrà iniziare il rally natalizio.
Negli annali storici non possiamo definire “il rally natalizio” come una vera e propria costante e/o evento ripetitivo.
Si può soltanto affermare che mediamente Dicembre è un mese positivo, come mediamente in Ottobre si tende a scendere.
Riscontriamo invece, un vero e proprio evento ripetitivo nel mese di Gennaio.
L’effetto Gennaio (the “January Effect”) è un effetto legato al calendario per cui gli indici tendono a salire durante il mese di Gennaio più che in ogni altro mese dell’anno.
Questo effetto è una tipica dimostrazione di come, senza che vi sia nessuna motivazione teorica, i dati possano evidenziare anomalie nella performance degli indici azionari. La prima evidenza per tale effetto fu riportata da M. S. Rozeff e W. R. Kinney nel loro lavoro “Capital Market Seasonality:
the case of stock returns” del 1976.
Considerando i dati storici per 37 mercati azionari e per diversi portafogli costruiti con società a diversa capitalizzazione, la differenza tra la media di un mese e la media annuale. Si può notare come sistematicamente per tutte le piazze azionarie la performance azionaria nel mese di Gennaio sia superiore alla
media annuale. Un’accurata analisi dell’effetto Gennaio è stata presentata nell’articolo “The January Effect” di M. Haug and M. Hirschey del 2005 in cui sono analizzate le performance di aziende a larga capitalizzazione dal 1802 al 2004 e di aziende a piccola capitalizzazione dal 1927 al 2004 del mercato azionario
americano.
Le conclusioni del lavoro di M. Haug e M. Hirschey si possono riassumere nei seguenti punti:
c’è una debole evidenza dell’effetto Gennaio sulle aziende a larga capitalizzazione durante il periodo dal 1802 al 2004.
viceversa, in un portafoglio dominato da aziende a piccola capitalizzazione l’effetto Gennaio è molto evidente,
l’effetto Gennaio è, quindi, legato alle dimensioni delle aziende. In particolare, è legato alle small-cap che hanno avuto una performance negativa nell’anno precedente.
Per completezza di informazione va detto che, in alcune pubblicazioni come ad esempio “Dangers of data-driven inference: the case of calendar effects in stock returns” di R. Sullivan, A. Timmermann and H. White (1998), la presenza dell’effetto viene messa in discussione e ritenuta statisticamente non significativa. Tale conclusione deriva dal fatto che gli autori per il loro studio hanno utilizzato le
quotazioni del Dow Jones, mentre abbiamo mostrato precedentemente che tale effetto è molto più pronunciato per le aziende a piccola capitalizzazione.
Sebbene non ci sia una spiegazione certa dell’effetto Gennaio, una plausibile potrebbe essere legata al fatto che gli investitori istituzionali a fine anno riportano le performance del fondi da loro gestiti, per cui tendono a chiudere le posizioni in guadagno prima della fine dell’anno per poi riaprirle a Gennaio.
Resta il fatto che a 30 anni dalla sua scoperta, tale effetto continua a manifestarsi e costituisce un enigma ancora irrisolto.