L’inflazione nell’eurozona tocca un nuovo massimo storico, indirizzandosi verso un valore a doppia cifra e mettendo la Banca Centrale Europea davanti alla seria necessità di rivedere urgentemente la propria strategia sui tassi d’interesse, prima che la situazione sfugga davvero di mano.
Secondo le stime preliminari pubblicate dall’Eurostat lo scorso 1 aprile, l’indice dei prezzi al consumo è salito. Difatti, nel mese di marzo si è arrivati al +7,5% su base annua, in netto rialzo rispetto al dato registrato lo scorso febbraio (+5,9%). Completamente disattese le previsioni degli analisti, che si attendevano sì un rialzo, ma del +6,6%.
L’entità dell’aumento su base mensile (+2,5%) ha spiazzato gli operatori finanziari
Ad andare ben oltre la soglia obiettivo di Francoforte, fissata al 2,0%, è stata anche la componente “core”. Ovvero, quella depurata dalle componenti più volatili dei prezzi, legate ad energia e alimentari, salita del +3,0%, sempre su base annuale.
Questi pessimi dati giungono nell’esatto momento in cui l’invasione russa dell’Ucraina ha comportato una rinnovata incertezza economica, con molti economisti che ritengono ormai prossima una nuova recessione nella zona euro durante il 2022, una eventualità che, almeno finora, i policy-maker della BCE si sono rifiutati di ipotizzare. Ad essere però sotto accusa è la capacità della banca centrale di saper prevedere i fenomeni economici, o quantomeno, la loro natura.
Per mesi, infatti, la governatrice Lagarde ha sostenuto che l’episodio inflazionistico iniziato nella primavera del 2021 fosse semplicemente di tipo “temporaneo” e “transitorio”. Due aggettivi, questi, da sempre sostenuti anche dal capo degli economisti della BCE Philip Lane. Dall’inizio di quest’anno, però, entrambi hanno dovuto fare una clamorosa marcia indietro, con la Lagarde che ha ammesso apertamente, in un discorso tenuto la scorsa settimana, di prevedere che “i prezzi dell’energia rimarranno elevati più a lungo del previsto”, che “è probabile che la pressione sull’inflazione alimentare aumenterà”, e che “è probabile che le strozzature della produzione globale persistano in alcuni settori”.
L’inversione di rotta non sarebbe indolore
Con una reputazione già fortemente ridimensionata dalla stessa evidenza dei fatti, la BCE si troverà ora a dover decidere cosa fare per arginare un’ondata inflazionistica che rischia di travolgere apertamente la debole ripresa che era iniziata nell’eurozona, coincisa con il rallentamento dell’emergenza pandemica. Sono molti gli analisti che ritengono ormai imminente un primo rialzo dei tassi, nonostante le dichiarazioni dell’eurotower vadano in senso completamente opposto. Capital Economics, ad esempio, prevede 3 rialzi dei tassi da 0,25% entro la fine dell’anno. Mentre gli analisti di Bloomberg uno nell’ultimo trimestre dell’anno e ben 3 rialzi nel 2023.
Si tratterebbe di un ritmo ben più ridotto di quello che ha già intrapreso la Federal Reserve
Eppure, l’inversione di rotta non sarebbe indolore e segnerebbe la fine di un periodo di politiche monetarie ultra espansive, inaugurato con il Quantitative Easing di Mario Draghi, alle quali i cittadini e i governi dell’eurozona si erano ormai abituati. Tornare a vivere in un ambiente economico caratterizzato da un costo del denaro nuovamente “normale”, potrebbe significare far emergere antichi problemi. Difficoltà che si pensavano ormai definitivamente dimenticate. Ad esempio, la sostenibilità dei debiti pubblici e la fragilità del sistema bancario e finanziario nel suo complesso. Il ritorno alla normalità monetaria, alla fine, potrebbe rivelarsi molto più oneroso di quello che in molti si attendevano.