L’inflazione è tornata nell’economia globale e potrebbe perdurare più a lungo di quanto gli economisti credano

inflazione

Se fino ad ora era sembrata soltanto una ipotesi, dalla settimana scorsa è diventata una realtà: l’inflazione è tornata nell’economia globale e potrebbe perdurare più a lungo di quanto gli economisti credano. Partiamo dai dati. La lettura sull’aumento dei prezzi registrata negli Stati Uniti ad aprile è stata pari al +4,2% su base annuale, dal +2,6% precedente e molto al di sopra del +3,6 atteso dagli analisti.

Soltanto nell’ultimo mese, in particolare, i prezzi sono aumentati del +0,8% rispetto al +0,2% previsto.

Non si è trattata della solita fiammata inflazionistica dovuta all’aumento dei prezzi energetici, in quanto anche l’inflazione “core”, ovvero quella che misura l’inflazione al netto della componente legata ai beni e servizi energetici ed alimentari, è balzata del +3,0% nello stesso mese, dal +1,6% precedente e ben al di sopra del +2,3% atteso.

Anche nell’Eurozona l’inflazione è aumentata, toccando sempre nel mese di aprile il +1,6% su base annua, dal +1,3% precedente e in alcuni paesi i prezzi sono saliti ancora di più, come in Germania, dove il CPI è salito del +2,0%, ovvero al livello obiettivo fissato dalla Banca Centrale Europea, che segna un tradizionale spartiacque tra una politica espansiva e restrittiva.

Da qui, il pensiero di analisti e mercati finanziari è andato subito alle possibili reazioni future delle Banche centrali e, in particolare, al rischio di una stretta monetaria per contenere la dinamica inflattiva in corso. La fiammata dei rendimenti dei sovereign bond registrata dopo la lettura degli ultimi dati è un segnale inequivocabile di quanto i trader diano importanza al problema. Finora, i banchieri centrali avevano prodotto come giustificazione al mantenimento delle loro politiche monetarie “ultra espansive” il fatto che la componente core dell’inflazione fosse più bassa rispetto all’inflazione complessiva. In altre parole, che l’inflazione fosse un fenomeno soprattutto legato alla componente ciclica dell’economia, come se questa pesasse meno sul portafoglio delle famiglie e delle imprese.

L’inflazione è tornata nell’economia globale e potrebbe perdurare più a lungo di quanto gli economisti credano

Ma ora che anche l’inflazione core è aumentata indiscutibilmente, la nuova giustificazione portata dai banchieri centrali al mantenimento della stance di politica monetaria è quella della temporaneità del fenomeno inflazionistico. In altre parole, si riconosce ora che il fenomeno esiste, ma lo si reputa non duraturo, destinato a rientrare già nei prossimi mesi e dovuto soltanto alla ripresa della domanda internazionale post pandemia e ai colli di bottiglia esistenti a vari livelli della supply chain, che stanno ritardando forniture e consegne di beni. Per quale motivo bisognerebbe quindi restringere l’offerta di moneta o alzare i tassi di interessi per una inflazione moderata di durata soltanto temporanea?

Questa è la domanda. E la giustificazione.

Il fatto è che i banchieri centrali stanno dando troppo per scontato che i fattori che determinano l’inflazione siano di breve periodo. Ma giriamo la domanda. Cosa succederebbe se l’inflazione fosse invece un fenomeno duraturo? Succederebbe che le Banche centrali reagirebbero troppo tardi, provocando una pericolosa perdita di potere d’acquisto agli agenti economici e una generalizzata redistribuzione della ricchezza dai creditori ai debitori, oltre che a provocare un ulteriore inflazione generalizzata dei corsi azionari e dei prezzi di molte altre asset class.

Un errore di valutazione che finirebbe per costare molto caro all’economia globale. Chi riteneva quindi che l’inflazione fosse un fenomeno appartenente al passato dovrà quindi ricredersi. Così come si dovrebbe ricredere tutti quegli economisti che reputavano le politiche ultra accomodanti delle Banche centrali il nuovo “new normal”.