Siamo all’inizio di un nuovo anno anche finanziariamente, ed oggi intendo concentrarmi su un doppio fenomeno, che non potrà non ripercuotersi sulle dinamiche di diversi asset e mercati, rialzo dei tassi e fine del quantitative easing.
Le conseguenze più evidenti della fine del QE sono il venir meno di parte di quelle che, tradizionalmente, definiamo mani forti.
I bilanci di Fed e BCE in questi anni di politica monetaria espansiva si sono riempiti di asset, sostenendo il trend rialzista di diversi mercati, ma ora?
Peraltro, per quanto concerne la dinamica dei tassi, anche in base ai tradizionali concetti insiti nelle metodologie di analisi note come discount cash flow, è noto che un incremento dei tassi si ripercuote negativamente in primis sugli asset obbligazionari, ma anche, a parità di quotazioni, sulla valutazione degli asset azionari, dal momento che tassi maggiori corrispondono ad un minor p/e di equilibrio, inteso come riferimento del fair value basato su metodologie di analisi fondamentale.
E, quindi, quali prospettive per i mercati finanziari?
D’altra parte, per comprendere quali potrebbero essere le probabili conseguenze di tali fenomeni, un punto di riferimento che assume ancora tutto il suo rilievo, è proprio la curva dei rendimenti, che esprime le proiezioni dei mercati obbligazionari relativamente alla situazione delle economie dei diversi paesi.
La curva che esprime maggiori spread tra le scadenze 2/10 anni e 5/30 anni rispetto alla curva di un’economia con analoghi spread più contenuti, è quella che prospetta una maggior crescita economica, proiezione quasi sempre verificatasi, e quindi maggior crescita economica equivale, almeno in parte, a controbilanciare l’effetto inflattivo dei tassi.
Questo non significa, quindi, che con tassi in aumento le borse necessariamente debbano assumere un trend piuttosto che un altro, ma che la curva che proietta spread più ampi, solitamente dovrebbe indicare anche i mercati con maggior forza relativa, più forti nelle fasi rialziste, meno deboli in caso di caduta.
E, quindi, come stanno le cose dal punto di vista della curva dei rendimenti?
E quale area preferire, dal punto di vista del comparto azionario?
Come dicevo anche nel report di fine anno, occorre comunque monitorare costantemente potenziali segnali di inversione ribassista.
Nel caso, però, che il trend rialzista presente sui principali mercati internazionali prosegua, dove sarebbero presenti le maggiori opportunità?
In Usa o in Europa?
Per rispondere a tale domanda effettuiamo un confronto tra due principali indici rappresentativi delle rispettive aree, S & P 500 e Dax, anche perché taluni elementi non possono essere riferiti all’indice Eurostoxx, presentandosi ad esempio rendimenti obbligazionari diversi nei diversi paesi che lo compongono.
Del resto, il principale motore economico europeo è sempre stata la Germania, e in tale contesto, quindi, pare l’indice di riferimento principale per un confronto con l’altra sponda dell’Atlantico.
Valuteremo, quindi, la situazione dei due indici, intanto, come dicevo, in relazione alla differente struttura della curva dei rendimenti, per poi approfondire la situazione in termini di fair value e di target basati su particolari patterns di magic box.
Confronto tra curve dei rendimenti: già di primo acchito, risulta ormai evidente l’appiattimento della curva statunitense, con spread in calo, a differenza di quanto evidenzia la curva tedesca.
Lo confermano le dinamiche degli spread 2/10 anni e 5/ 30 anni, che riportiamo di seguito.
Spread 2/10 anni: Germania un anno fa 1,04, ora 1,15; Stati Uniti: un anno fa 1,173, ora 0,51.
Spread 5/30 anni: Germania un anno fa 1,55, ora 1,45; Stati Uniti: un anno fa 1,1, ora 0,5.
Come notiamo, sullo spread a più lungo termine, quello 5/30 anni già un anno fa la Germania batteva gli Stati Uniti, mentre ora la curva tedesca si è mantenuta stabile, a fronte di una netta contrazione dello spread statunitense.
Sullo spread 2/ 10 anni la Germania si è mantenuta stabile battendo la curva a stelle e strisce, in netta contrazione.
Pertanto, anche a fronte di talune difficoltà ed incertezze che erano legate alla formazione di un possibile, nuovo esecutivo, in Germania, i mercati obbligazionari hanno comunque mantenuto una proiezione stabile, o comunque in moderata crescita per l’economia tedesca, a fronte di una proiezione decisamente peggiore per l’economia americana, la cui curva non è ancora negativamente inclinata, ma certo si è significativamente appiattita.
Da questo punto di vista, quindi, sarebbe da preferire in un’ideale asset allocation l’economia europea, nello specifico quella tedesca, ma andiamo ad analizzare la situazione da altri punti di vista, per verificare eventuali conferme a tale prospettiva.
In termini di analisi fondamentale, qual’ è il fair value dello S & P 500 e del Dax?
Ancora una volta, i tassi giocano un ruolo determinante nella definizione dei rispettivi fair value di equilibrio.
Lo S & P 500 presenta un p/e di 23,5 a fronte di un p/e di equilibrio di 13,45, quindi quota con un premio del 74,7%.
Invece il Dax, a fronte di un p/e di equilibrio di 17,91, presenta un p/e di 19,11, con un premio di appena il 6,7%.
Anche da questo punto di vista, quindi, risulta preferibile l’indice tedesco, perché meno caro.
Ma se volessimo prescindere da qualsiasi considerazione economica ed econometrica, ed affidarci solo alla proiezione di un metodo, come magic box?
Anche da questo punto di vista, considerando, in caso di prosecuzione dell’attuale trend rialzista, le possibili estensioni in overshooting rialzista di medio/lungo termine, rispettivamente dello S & P 500 e del Dax, si ottengono questi target.
S & P 500: 3070/3230;
Dax: 15620/16560.
Pertanto, a fronte di un possibile rialzo, rispetto alle quotazioni attuali, del 25% sul Dax, lo S & P 500 presenta invece una possibilità limitata al 15,9%, e quindi anche tale confronto depone a favore della Germania.
Ma, come noto, solitamente i tassi d’interesse sono determinanti anche nel far privilegiare, ai mercati, una determinata valuta.
Tassi in maggior crescita previsti per una determinata economia, rispetto ad un’altra, solitamente indicano anche il trend delle rispettive valute.
E’ quanto pare confermarsi sul cross euro/dollaro, che pare ormai stabilmente in trend rialzista di lungo a favore dell’euro.
A conferma di tale prospettiva, diverse indicazioni.
Intanto quella di lungo termine di PLT, che sin da luglio 2017 dava indicazione di long rialzista sull’euro.
Del resto, la prospettiva di un’inversione del ciclo di lungo termine a favore dell’euro era già stata evidenziata anche sulla base di modelli ciclici, che il cross euro/dollaro pare tenere in particolare considerazione.
In base a questi il prossimo massimo di lungo termine non dovrebbe essere raggiunto prima dell’ottobre 2024, quindi pare che la strada al rialzo a favore dell’euro sia destinata a durare ancora a lungo, confermando, tale elemento, anche la maggior probabilità di maggior sviluppo economico dell’eurozona rispetto agli Stati Uniti.
Come sempre, occorre comunque periodicamente valutare eventuali segnali in direzione opposta al trend principale, per avere una conferma o meno delle proiezioni effettuate.
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Cimatti Mario Marco