Le scritture contabili obbligatorie devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti, anche oltre il termine decennale. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 16752 del 06/08/2020, ha chiarito rilevanti profili in tema di conservazione delle scritture contabili obbligatorie. Nella specie, la società contribuente aveva ricevuto un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate le contestava l’indeducibilità di quote di ammortamento e maggiori ricavi da canoni di locazione. L’avviso veniva impugnato innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. La società contestava l’indeducibilità delle quote di ammortamento per difetto di documentazione giustificativa, essendo il termine massimo di conservazione delle scritture contabili fissato dal codice civile in dieci anni. Mentre, nella specie, l’Agenzia delle Entrate pretendeva invece la produzione di una documentazione eccedente tale termine.
La CTP accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente ed annullava l’accertamento in ordine alle quote di ammortamento, mentre lo confermava per quanto atteneva ai canoni di locazione. L’Amministrazione finanziaria proponeva allora appello, sostenendo che, quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta, le scritture contabili devono essere conservate anche oltre il termine di dieci anni. La CTR osservava che il principio dell’obbligo di conservazione delle scritture contabili anche oltre i dieci anni era corretto. Però nel caso in esame sussistevano alcune circostanze peculiari. La documentazione richiesta e non prodotta dalla parte e i titoli giustificativi dell’ammortamento, formati oltre dieci anni prima, era stata infatti comunque già esaminata dall’Amministrazione in occasione di precedenti verifiche.
Il ricorso in Cassazione
La CTR rigettava quindi l’appello dell’Amministrazione, la quale proponeva infine ricorso per cassazione. L’Agenzia censurava la pronuncia per aver ritenuto che la contribuente avesse provato il suo diritto alla deduzione sebbene non avesse prodotto i titoli giustificativi. Secondo la ricorrente, del resto, la contribuente avrebbe dovuto conservare la documentazione per tutto il tempo necessario allo svolgimento dei giudizi in cui intendesse avvalersene. E la CTR, secondo la ricorrente, aveva errato a valorizzare il fatto che l’Amministrazione finanziaria aveva comunque già conosciuto le relative in occasione di verifiche eseguite negli anni precedenti. In tal modo aveva infatti finito per far gravare sull’Ente impositore un onere probatorio che la legge pone invece a carico del contribuente. Secondo l’Agenzia, sulla base di quanto disposto dall’art. 22 Dpr. n. 600/73, le scritture contabili dovevano essere conservate fino alla definizione degli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta.
E dunque anche oltre il termine decennale di cui all’art. 2220 cod. civ., che è norma di natura generale.
La decisione
La Corte di Cassazione riteneva che le censure dell’Amministrazione finanziaria fossero fondate. Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l’art. 22 citato è chiaro nelle sue previsioni. La norma dispone infatti che le scritture contabili obbligatorie devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti, anche oltre il termine decennale. La norma si pone quindi quale disposizione speciale che, ai fini tributari, detta una regola diversa in materia di obbligo di conservazione delle scritture. L’interesse fiscale esige, in sostanza, che il contribuente conservi la documentazione contabile necessaria per giustificare le spese dichiarate per tutto il periodo in cui è esercitabile il potere di accertamento dell’Ufficio.