Come analizzato nell’articolo del 14 febbraio 2022, l’attuale inflazione presente tra le maggiori economie mondiali, è determinata principalmente da politiche “altre”.
Per politiche “altre” intendiamo le politiche di tipo non economico, che però hanno un forte impatto sull’economia. Dapprima le politiche che avrebbero dovuto “debellare” il Covid, ora le sanzioni economiche ai maggiori produttori di materie prime ed energia. Si tratta di politiche non classificabili negli schemi tradizionali della “politica economica”.
L’attuale inflazione infatti è determinata da shock sul lato dell’offerta e quindi delle catene del valore e della produzione.
In questo scenario, poco giova l’attuazione di determinate politiche monetarie. La politica monetaria, è praticamente ininfluente, se politiche “altre” che noi definiamo anche “etero-monetarie” continuano ad apportare vincoli all’offerta, introducendo misure restrittive, recessive ed antieconomiche.
Le Banche centrali devono fare meglio, ma l’attuale inflazione si contiene solo tramite politiche etero-monetarie
Finora le Banche centrali dei Paesi occidentali, Federal Reserve in primis, hanno cercato di procrastinare o rallentare l’aumento dei tassi d’interesse. Probabilmente consce del fatto che le attuali misure restrittive (determinate da Covid, e da tensioni geopolitiche), se abbinate ad una stretta monetaria, avrebbero anticipato l’avvento della prossima recessione.
Ci riferiamo proprio a quella prossima recessione che oggi viene prevista dall’inversione della curva dei rendimenti americani. Un inasprimento delle condizioni monetarie, oggi avrebbe l’effetto di far invertire ulteriormente la curva dei rendimenti e quindi potenzialmente di aumentare la durata e la severità della prevista recessione.
Anche se il problema è di carattere etero-monetario, riteniamo comunque che le Banche centrali devono fare meglio.
Le Banche centrali potrebbero usare la loro conoscenza economica per comunicare e consigliare gli attori delle politiche “altre” di desistere da misure recessive che inibiscano l’offerta. In caso contrario, l’inefficacia di una politica monetaria attuata in condizioni subottimali, o gli effetti collaterali della stessa, sarà da attribuire chiaramente ai governi ed alle loro politiche recessive.
Secondo alcuni analisti, l’inversione della curva dei rendimenti indica che i grandi investitori istituzionali si stanno spostando su scadenze obbligazionarie più lunghe. Se questo fosse confermato, vuol dire che questi investitori, si attendono una imminente riduzione dei tassi d’interesse.
Infatti, le scadenze obbligazionarie lunghe sono quelle più sensibili a variazioni dei tassi d’interesse.
Di norma, in questi casi, i grandi investitori istituzionali hanno sempre ragione per un semplice fatto. Essi hanno una tale potenza di fuoco da poter fare il mercato.
Ebbene, se anche questa volta avessero ragione, assisteremo presto ad una retromarcia delle Banche centrali a partire dalla FED sulla necessità di aumentare i tassi d’interesse.
In questo scenario, si ritornerebbe ad una nuova stagione di espansione monetaria.
In quale misura una nuova stagione di espansione monetaria potrà aiutare l’attuale fase del ciclo economico?
Riteniamo che l’impatto sull’economia sarà relativo, se nel frattempo non saranno rimossi i vincoli sull’offerta accennati sopra. Un’eventuale espansione monetaria in presenza di vincoli sull’offerta, non crea nuovo valore ma inflaziona il prezzo di quello esistente.
Se non ci fosse la volontà o l’opportunità politica di rimuovere i vincoli all’offerta, allora si potrebbe cercare di compensare almeno in parte questo squilibrio, con una politica fiscale espansiva. Politica fiscale che dovrà prevedere uno sviluppo delle capacità produttive nazionali, in modo da mitigare e controbilanciare i vincoli all’offerta presenti sui mercati internazionali.