L’avanzo delle partite correnti dell’area euro è sceso a 250 miliardi di euro, pari al 2,2%

Banca Centrale Europea

Lo scorso 9 aprile, la Banca Centrale Europea ha pubblicato i dati sulla bilancia dei pagamenti dell’Eurozona. Secondo le statistiche, l’avanzo delle partite correnti dell’area euro è sceso a 250 miliardi di euro, pari al 2,2% del PIL dell’area dell’euro nel 2020, da 280 miliardi di euro, pari al 2,3% del PIL, registrato nel 2019. Il calo ha riflesso una riduzione degli avanzi per i servizi (da 60 a 31 miliardi di euro) e per i redditi primari (da 50 a 41 miliardi di euro), e un maggiore deficit per i redditi secondari, che è aumentato da 152 a 162 miliardi di euro. Questi sviluppi sono stati parzialmente compensati da un aumento del surplus per i beni (da 323 a 340 miliardi di euro).

I dati sulle controparti geografiche delle partite correnti dell’area dell’euro hanno mostrato che nel 2020 l’area euro ha registrato i suoi maggiori avanzi bilaterali nei confronti del Regno Unito (151 miliardi di euro, in calo dai 197 miliardi del 2019), degli Stati Uniti (79 miliardi, in calo dai 107 miliardi) e della Svizzera (54 miliardi, in calo dai 65 miliardi).

Al contrario, il deficit delle partite correnti degli Stati Uniti si è ampliato di 7,6 miliardi di dollari, o del +4,2%, a -188,5 miliardi di dollari nel quarto trimestre del 2020, secondo le statistiche rilasciate dall’Ufficio di analisi economica degli Stati Uniti. Il deficit del quarto trimestre è stato del -3,5% del prodotto interno lordo (PIL), in aumento rispetto al -3,4% del terzo trimestre. Il deficit annuale registrato nel 2020 è stato pari a -647,2 miliardi di dollari, in netto aumento rispetto ai -480,2 miliardi registrato nel 2019.

L’avanzo delle partite correnti dell’area euro è sceso a 250 miliardi di euro, pari al 2,2%

Nonostante, anche per effetto della crisi pandemica, il surplus dell’Eurozona si sia ridotto in percentuale al PIL rispetto agli anni precedenti, questo continua a rappresentare un grosso problema per l’area euro, considerando che la Commissione Europea, tanto per fare un esempio, l’ha inserito al primo posto negli squilibri macroeconomici che affliggono i paesi che adottano la moneta unica.

L’assenza di reflazione da parte dei paesi esportatori netti, in primis Germania e Olanda, produce un accumulo di risorse finanziarie che non si traducono in maggior domanda interna, generando, tra le altre cose, un apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro, a parità di altre condizioni. Considerando che la Banca Centrale Europea non può per statuto prefiggersi obiettivi di cambio, e quindi non può intervenire per ridurre il valore dell’euro, il riequilibrio delle partite correnti tramite politiche di reflazione interna sarebbe una valida alternativa per evitare che l’euro si apprezzi eccessivamente nei confronti delle altre valute.

Il problema è però che gli stati “virtuosi” non sembrano avere alcuna intenzione di perseguire queste politiche per fare aumentare i consumi interni delle loro economie. Se questa situazione persisterà, è quindi possibile che l’euro si potrebbe apprezzare nel medio e lungo periodo, soprattutto se i tassi di crescita del PIL di Eurozona e Stati Uniti dovessero convergere.