Situazioni non convenzionali richiedono coraggio e soluzioni non convenzionali. I leader europei saranno all’altezza della sfida che li attende? L’aumento dell’inflazione pone la BCE davanti ad un dilemma.
Se l’attuale dinamica inflazionistica continuerà ad incidere nei prossimi mesi, anche la Banca Centrale Europea, come già avvenuto per altre sue omologhe, si troverà costretta ad intraprendere una politica monetaria restrittiva.
Secondo il mandato della stabilità dei prezzi, qualora l’inflazione si dimostri superiore o inferiore al 2% nel medio periodo, la BCE interverrà per riportare questa in prossimità del suo tasso obbiettivo del 2%.
Ma perché questa particolare attenzione all’inflazione?
Tale attenzione all’obbiettivo riconducibile ad un livello di inflazione ritenuto ideale, trova una precisa giustificazione storica.
Deriva soprattutto dall’area germanica (non solo Germania, ma anche paesi della stessa area geoeconomica e culturale, come l’Austria), un particolare timore verso i rischi di inflazione.
A tale riguardo occorre ricordare il particolare contesto storico da cui origina questo timore. Durante la fase storica cosiddetta propedeutica alla Germania nazista, quindi la Repubblica di Weimar, vi fu una particolare recrudescenza inflazionistica. Tale elemento è stato considerato e tuttora lo è, in quell’area culturale, una delle principali cause, se non la principale, dell’ascesa del nazismo e della sua affermazione.
Non è quindi un caso che un’area monetaria comune, egemonizzata da una certa idea in primis politica, prima ancora che economica, fosse in particolare interessata ad evitare il reiterarsi di condizioni ritenute responsabili di un vero e proprio dramma storico. L’aumento dell’inflazione pone la BCE davanti ad un dilemma.
Rispetto a tale prospettiva, in molti non guardarono, in sede di analisi sulle prospettive di un’area economica comune, alle possibili criticità ed ai potenziali squilibri. Squilibri che sarebbero potuti derivare dalla concretizzazione del progetto di un’area monetaria comune, in particolare quello fondato sull’obiettivo essenziale di contenere l’inflazione.
Con tutti gli squilibri che potevano derivare alle prospettive di crescita economica tra Paesi con moneta più forte e più debole.
Ma non tutti la pensarono in questo modo.
Di un evidente divario tra cosiddetti paesi del Nord e del Sud era, ad esempio, ben consapevole il cancelliere Kohl. Egli propose un progetto diverso, quello di creare non una sola moneta unica, bensì due. Una, il cosiddetto Neuro (tra i nomi proposti) per i Paesi del Nord, e l’altro, il Seuro, per i Paesi dell’area meridionale.
Proprio al fine di delimitare i confini geoeconomici sulla base di Paesi con maggiori affinità non tanto culturali, quanto economiche, a partire dalla gestione della politica economica.
Peraltro, che l’obiettivo essenziale del contenimento delle dinamiche inflazionistiche informi di sé, potremmo dire in modo preponderante, le politiche monetarie europee, è evidente, anche solo considerando la differenza di mandato tra Fed e BCE.
La prima, infatti, deve considerare anche lo sviluppo economico del Paese, e non solo i rischi legati all’inflazione.
Sappiamo comunque com’è andata a finire.
Del progetto di due aree monetarie comuni non se n’è fatto nulla, ed oggi ci troviamo di fronte a squilibri non indifferenti, come quelli legati al rapporto debito/Pil, proprio quegli squilibri che personaggi come Kohl seppero prevedere.
Infatti la complessità nel definire la politica monetaria all’interno dell’Area Euro, sta nel fatto che diverse regioni che appartengono a questa area monetaria, sembrano avere interessi e condizioni di partenza apparentemente contrastanti. Da un lato vi sono Paesi dell’area Meridionale-Periferica (Italia, Grecia, e per certi versi anche Spagna, Portogallo e Francia) e dall’altro i Paesi dell’aera Centro-Settentrionale (Germania, Austria, Finlandia, Olanda). I primi erano caratterizzati già prima dell’inizio dell’epidemia Covid-19 da un elevato livello di debito in relazione al loro PIL. Livello che è cresciuto ancora di più in questi due anni. I secondi invece avevano un livello di debito pubblico più basso in relazione al PIL e pur con le difficoltà della crisi economica indotta dal Covid-19, sono riusciti a contenere il livello di debito pubblico.
È evidente che Paesi con un debito pubblico più elevato sarebbero favoriti da un contesto inflattivo per i seguenti motivi: riduzione del valore reale del debito nel tempo; svalutazione della moneta, con conseguente aumento della competitività, delle esportazioni e quindi anche del PIL. Inoltre una politica monetaria restrittiva, con conseguente aumento dei tassi d’interesse, causerebbe un maggior costo per i Paesi più indebitati in termini di spesa per interessi sul debito.
I Paesi dell’Europa Centro-Settentrionale, invece, godono di una sorta di “svalutazione monetaria naturale”, solo per il fatto di appartenere all’Area euro.
Questi Paesi, se non fosse esistita l’Area Euro, avrebbero perso competitività a causa della forza della loro valuta. Inoltre essi hanno potuto continuare ad esportare i loro prodotti, soprattutto verso i Paesi periferici dell’Euro, in quanto questi ultimi, ingabbiati nella stessa area monetaria, non hanno potuto svalutare la loro moneta.
Quindi, i Paesi Centro-Settentrionali non hanno bisogno di svalutazioni monetarie. Hanno un debito sotto controllo e temono l’inflazione perché significherebbe tra le altre cose un maggior costo per importare materie prime ed energia.
Da quanto sopra descritto si capisce come la BCE si potrebbe trovare presto di fronte ad un dilemma. Ossia tollerare un po’ di inflazione entro certi limiti, ed agevolare i Paesi meridionali dell’area Euro. Oppure adottare una politica monetaria restrittiva ed agevolare i paesi centro-settentrionali dell’area. Qualunque scelta faccia, essa finirà per avvantaggiare un gruppo di Paesi e penalizzare l’altro.
Per questo motivo riteniamo che l’aumento dell’inflazione pone la BCE davanti ad un dilemma. Situazioni non convenzionali richiedono coraggio e soluzioni non convenzionali.
I leader europei saranno all’altezza della sfida che li attende?
Come se ne esce? Prima di poter azzardare ipotetiche soluzioni, è necessario identificare l’origine del problema. Il dilemma esiste perché l’Area euro è stata fondata su situazioni di debolezza strutturale che la rendono vulnerabile. La causa principale della debolezza strutturale, è l’asimmetria tra area monetaria ed area fiscale. Un’unica area monetaria vincola in un regime di cambi fissi, ben 19 Paesi. Ossia un’unica politica monetaria deve accontentare ben 19 economie con esigenze, obiettivi, punti di forza e debolezze diverse tra loro ed ognuno avente una sua autonomia fiscale.
Uno dei maggiori sintomi di questa debolezza strutturale è sicuramente l’esistenza di spread tra i rendimenti dei titoli di Stato degli appartenenti all’Area euro. Ad esempio lo spread al 21 gennaio 2022 tra il titolo di Stato decennale Italiano e quello Tedesco è pari a 141.5 punti base. Questo vuol dire che l’Italia, pur appartenendo alla stessa area monetaria, paga 1,415% in più all’anno sul suo debito rispetto alla Germania.
All’interno di una stessa area monetaria, a nostro avviso non ci dovrebbero essere spread. Se si creano tali distorsioni, esse potrebbero essere rimosse dall’intervento della Banca Centrale nel suo ruolo di prestatore di ultima istanza. Questo principio, benché non formalizzato all’interno del mandato della BCE, si ispira alla mutualità. Senza mutualità non ha senso neppure parlare di “moneta unica” o “Area Monetaria comune”.
I partecipanti alla moneta unica, hanno sacrificato la propria sovranità monetaria nell’interesse comune.
I Paesi meridionali inoltre hanno ceduto anche la loro capacità di competere tramite svalutazione. Hanno pagato un prezzo per tutto questo, sia in termini di ridotte esportazioni che di minor PIL e crescita.
Perché l’ambizioso progetto dell’euro possa avere successo, sono necessarie scelte più coraggiose rispetto a quanto fatto finora. Tra queste scelte, sicuramente rientra la rimozione dell’asimmetria tra politica monetaria e politica fiscale.
In questa fase si apre quindi un interessante dibattito tra opzioni alternative sul futuro delle politiche economiche dell’area euro.
Una alternativa riconduce ad un progetto cosiddetto di nuova politica monetaria.
Ogni Paese dovrebbe riacquistare una propria sovranità monetaria, o comunque con possibilità di finanziamento anche da parte di una Banca Centrale, ma politica da gestire secondo precisi parametri, legati all’inflazione, oltre che allo sviluppo economico.
E con nessuna o scarsa discrezionalità da parte del board.
Tale prospettiva dovrebbe consentire una migliore gestione dei conti pubblici, tanto da arrivare, secondo taluni, all’idea di non correlare la politica monetaria all’emissione di bond. Oppure di correlarla all’emissione di bond cosiddetti perpetui.
Il tutto unitamente ad una funzione della politica fiscale incentrata sul controllo delle dinamiche inflazionistiche.
In altri termini, secondo questa teoria uno Stato non dovrebbe più avere problemi di bilancio, potendo disporre di una politica monetaria al suo servizio.
Il grande problema dell’inflazione dovrebbe trovare una soluzione, per un verso riconducendo siffatta politica a precisi parametri algoritmici.
Ma anche utilizzando la politica fiscale al posto di quella monetaria, come elemento con precisi collegamenti funzionali volti alla gestione delle dinamiche inflazionistiche.
In altri termini, al posto di una Banca Centrale che acquista o vende titoli, secondo l’opportunità di implementare una politica espansiva o restrittiva, dovrebbe intervenire la politica fiscale.
Vista la complessità dell’argomento, non ci addentriamo in particolari analisi di tale prospettiva.
Ci limitiamo, sotto il profilo istituzionale, ovviamente ad osservare che una tale riforma, ma potremmo definirla meglio come rivoluzione, dovrebbe necessariamente passare per un completo stravolgimento dei Trattati.
Concludiamo con l’aumento dell’inflazione pone la BCE davanti ad un dilemma. Situazioni non convenzionali richiedono coraggio e soluzioni non convenzionali. I leader europei saranno all’altezza della sfida che li attende?
Come notiamo, si apre quindi un dibattito ampio sulle prospettive da seguire per il futuro, che potrebbe passare anche dalla rivisitazione di vecchie regole e vecchi Trattati, da alcuni non considerati più all’altezza dei tempi.
Si apre quindi una fase storica molto interessante, suscettibile di potenziali sviluppi, forse anche inattesi.
Del resto molte sono ancora le incognite dei prossimi percorsi europei. Non solo legati alle dinamiche economiche, ma con una potenziale guerra ai suoi confini e con una pandemia in corso, le cui sorti sono ancora avvolte nelle nebbie di un futuro, tuttora da decifrare.
A cura di Cosimo Italiano e Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT”