L’America di Trump verso una recessione? Opinioni e motivazioni a confronto

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L’ America di Trump sta andando verso una recessione?

A quanto pare è un’opinione che si va sempre più diffondendo tra molti analisti.

In tal senso, ad esempio, il parere di Robin Bew, dell’istituto di ricerca Economista intelligence Unit, secondo il quale sarà soprattutto la politica di rialzo dei tassi USA da parte della FED a comportare un’inevitabile recessione.

E non si tratta certo di un’opinione isolata, considerando la condivisione da parte di altri illustri analisti, come Sonja Laud, responsabile del comparto azionario di Fidelity International.

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A quanto pare neppure la riforma fiscale di Trump potrebbe ostacolare una ormai prossima fase ribassista dell’economia a stelle e strisce, ad esempio secondo il Peterson Institute for International Economics, per il quale il tasso di sviluppo previsto da Trump è del tutto insostenibile, a fronte dell’attuale produttività e dei tassi attuali di occupazione degli USA.

Ci siamo domandati se tali opinioni trovino già un supporto da parte di indicatori proiettivi dotati di sufficiente affidabilità.

E, come abbiamo rimarcato più volte, uno degli indicatori più affidabili è la curva dei rendimenti dei titoli di stato USA, tassi cui la maggior parte degli analisti attribuisce peso determinate sul futuro dell’economia a stelle e strisce.

Come, del resto, richiama anche Silvia Dall’Angelo, senior economist di Hermes Investment Management, quando afferma che “qualunque recessione avvenuta dopo la seconda guerra mondiale è stata trainata da un’inversione della curva dei rendimenti Usa, ossia circostanze in cui lo spread dei rendimenti a 10 e a 2 anni è diventato negativo”.

Come abbiamo notato in precedenti analisi, già il raggiungimento del rendimento del 3% da parte del bond decennale evidenzia sul tratto a lungo della curva un sostanziale appiattimento, in particolare sullo spread tra le scadenze a 10 e 30 anni.

E’ interessante notare, approfondendo la tematica, come un anno fa tale spread, sulle medesime scadenze, fosse -0,67, e quindi in un anno questo valore si è praticamente azzerato (in base agli ultimi dati desunti dalla curva dei rendimenti lo spread attuale è -0,14).

Si evidenzia quindi al momento un rendimento ancora superiore sulla scadenza a 30 anni e una conseguente inclinazione rialzista della curva, ma in decisa contrazione.

Con questi dati è anche possibile stimare il livello cui potrebbe arrivare questo spread tra 6 mesi, ad esempio.

In tal senso, dovremmo arrivare ad uno spread positivo pari a circa 0,05.

E tra un anno lo spread dovrebbe essere positivo a circa 0,39.

Il che implica un rendimento del decennale superiore al trentennale e conseguente inclinazione ribassista su questo tratto della curva.

Ma, come ricorda la Dall’Angelo, è anche molto importante lo spread sulla parte più a breve, in particolare tra le scadenze a 2 ed a 10 anni.

Ancora una volta è quindi interessante notare come questo spread si sia ridotto nell’arco di un anno.

Un anno fa lo spread in questione era circa -1.

Ora vale solo -0,47.

Si è quindi ridotto dello 0,55 in un anno.

Ipotizzando che questa velocità rimanga costante, tra un anno lo spread tra 2 e 10 anni dovrebbe quindi attestarsi a circa uno 0,008, situazione prossima allo spread in corrispondenza dei massimi di borsa del 2007.

Sono tutti indizi che la situazione è prevista in deciso deterioramento.

Ma quelli forniti dalla curva dei rendimenti non sono gli unici argomenti, a sostegno della tesi di un’economia prevista in fase stagnante/recessiva.

Le trimestrali americane hanno presentato luci ed ombre, con un’indicazione divergente tra i risultati di alcune società.

Gli utili di alcune sono state in aumento, indicando quindi un momentum rialzista di tale componente, mentre quelle di altre in contrazione, esprimendo un momentum in direzione opposta.

Questa divergenza ha quindi rappresentato una distonia, che costituisce ulteriore campanello di alert sul futuro stato di salute del Pil statunitense.

Non da ultimo, in ordine di importanza, anche l’effetto anticipatore delle borse sullo stato dell’economia, che solitamente viene anticipato da 6 mesi ad un anno.

E che, statisticamente, la borsa USA, rappresentata dall’indice S & P 500, sia nella sua parte discendente, è evidenziato dal seguente grafico, basato su tradizionali regole di posizionamento ciclico e di troncatura rialzista nel precedente ciclo di lungo termine.

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