La tutela dei consumatori attraverso le azioni di classe? L’azione di classe americana è nata circa un secolo prima della nostra, ossia nel 1938. La nostra azione di classe, invece, è entrata in vigore solo nel 2010, dopo due interventi legislativi, di cui l’ultimo è la L. 99/2009. Si tratta di un’azione disciplinata dall’art. 140 bis del Codice del Consumo, posta a tutela dei diritti individuali omogenei e degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti. Attraverso di essa, finalmente, coloro che condividono un medesimo interesse, possono agire unitamente per ottenere il risarcimento del danno e/o le restituzioni. Oggetto della causa deve essere il danno o l’inadempimento nascenti dal contratto tra professionisti e consumatori. Ne deriva la possibilità di far valere la tutela di questi ultimi attraverso le azioni di classe. Quindi, le class action all’americana possono valere anche i consumatori italiani?
La risposta dipende dal tipo di tutela assicurata dall’ordinamento italiano.
Sì, perché le azioni di classe americane hanno una grande efficacia e forza giuridica. Ciò, al punto da aver messo in pericolo, talvolta, la stabilità di grandi colossi mondiali, quali la Malboro, Apple, Red Bull, Ferrero, Philip Morris, Chevrolet e tanti altri.
La tutela dei consumatori attraverso le azioni di classe. A cosa serve la class action e da chi può essere esperita?
Accennate le glorie delle azioni di classe americane, vediamo ora come si atteggia la tutela a livello nazionale. Specificamente, la Class Action, consente ai consumatori di unire le proprie forze economiche per ottenere un risarcimento. Il tutto, quando il danno sia scaturito da prodotti difettosi o pericolosi, oppure da comportamenti commerciali scorretti o contrari alle norme sulla concorrenza. Il vantaggio è che i consumatori, accomunati dalla medesima doglianza, possono riunirsi, per far valere il medesimo diritto o interesse, ripartendosi gli oneri delle spese legali. Per questo tipo di cause, inoltre, Il procedimento è snello e consentirà di ottenere una sentenza immediatamente esecutiva.
Esso deve essere esperito mediante ricorso al Tribunale, avente sede nel capoluogo della Regione in cui ha sede l’impresa citata. Il procedimento giudiziario può essere patrocinato, dunque, da un solo avvocato, oppure da un’associazione di tutela dei consumatori o da un comitato appositamente costituito.
Il danno da “gioielli portatili”
In questo senso si stanno determinando i consumatori, rappresentati da Altroconsumo per far valere una pratica commerciale scorretta, da tempo intrapresa da Apple. Si tratterebbe della cd.tta obsolescenza programmata, per la quale, negli Usa, i consumatori hanno già ottenuto un maxi rimborso da 500 milioni di dollari. Ma, per intendersi: “in cosa consisterebbe, più nel dettaglio, la pratica commerciale scorretta di Apple, che si intende sanzionare?”.
Ebbene, tutta la polemica fonda sulla “messa fuori uso” dei prodotti vecchi, finalizzata a costringere gli utenti a comprarne di nuovi, ai costi che conosciamo! Per queste ragioni, si vuole chiedere al colosso americano un risarcimento per il cattivo funzionamento degli iPhone, in seguito agli aggiornamenti.
Non a caso, per questa stessa ragione, la Apple è ciò stata sanzionata per 10 milioni di euro dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM). Detta sanzione è stata comminata in quanto i possessori di iPhone 6, 6 Plus, 6s e 6s Plus non erano stati informati del peggioramento delle performance, che sarebbero derivate dagli aggiornamenti iOS 10 e 10.1.2. Senonchè, Altroconsumo, propone l’esperimento di un’azione collettiva, all’americana, per far risarcire i consumatori per la pratica dell’obsolescenza programmata. Infatti, mettendo fuori uso i loro dispositivi, attraverso la pratica degli aggiornamenti, gli imporrebbe di spendere fior fior di quattrini per adeguarsi. Quindi, avanti tutta con le azioni contro Apple: a supportarci c’è l’associazione dei consumatori!?