Il fenomeno della trasformazione delle Banche Popolari in SPA è stato al centro di un acceso dibattito giurisprudenziale, a livello non solo nazionale, ma europeo.
Il fulcro del dibattito è stato incentrato sulla legittimità dei presupposti della trasformazione, come definiti dal Legislatore nazionale e sui rapporti tra il rimborso delle quote dei soci uscenti e la salvaguardia del capitale bancario.
All’origine della polemica, una vicenda giudiziaria, nata dinnanzi al TAR Lazio, su iniziativa di alcuni soci di ex Banche Popolari e delle Associazioni Aduserf e Federconsumatori.
I ricorrenti in via amministrativa, segnatamente, agivano per l’impugnazione del D.L 3/2015, recante “Misure Urgenti per il sistema bancario e finanziario”.
Respinto il ricorso, la causa proseguiva dinnanzi al Consiglio di Stato, il quale, in esito al procedimento amministrativo di secondo grado, investiva la Corte Costituzionale di alcune questioni di legittimità costituzionale.
In particolare, la predetta Corte veniva chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del DL, nella parte in cui: impone alle Banche Popolari di trasformarsi in SPA o, in alternativa, essere poste in liquidazione, al superamento della soglia degli otto miliardi di capitale.
Nel contempo, la Corte Costituzionale era chiamata a rispondere al quesito della legittimità di tale fonte legislativa, nella parte in cui pone limiti al rimborso delle quote dei soci uscenti, o ne condiziona il rimborso anche a tempo indeterminato.
La trasformazione delle Banche Popolari in SPA: presupposti e limiti di legittimità
Stante la complessità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dinnanzi alla Corte, questa, a sua volta, ne investiva la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Significativa la sentenza della Corte Europea, in alcuni passaggi fondamentali della motivazione, che definiscono l’impianto del DL 3/2015 come contrario ai principi della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
La Corte di Giustizia UE parla di limitazione all’iniziativa economica privata, agli investimenti in Italia, nella misura in cui il Legislatore italiano pone un tetto massimo, al raggiungimento del quale le banche sono obbligate alla liquidazione o alla trasformazione.
La risposta dei Giudici Europei è demandata ad un criterio di proporzionalità: La previsione del tetto massimo deve essere funzionale al perseguimento degli obiettivi fondamentali del diritto dell’Unione Europea, in tema di salvaguardia del sistema bancario e finanziario europeo.
Ciò sull’evidente presupposto per cui il “default” di una banca o impresa italiana rappresenta un problema anche per gli altri Stati appartenenti all’Unione Europea.
Su tale presupposto, anche l’altro quesito di legittimità costituzionale risolto appellandosi al criterio di proporzionalità tra previsione legislativa ed obiettivi perseguiti dal Legislatore nazionale.
Conclude, quindi, la Corte affermando che: “I soci uscenti vanno rimborsati, salvo che il rimborso non intacchi i fondi propri “antidefault” della Banca.
In ultima analisi, secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la legittimità della previsione legislativa di un limite al rimborso delle quote dei soci uscenti è da ravvisarsi nella necessità di salvaguardare i capitali delle Banche da un rischio di “default,” con ripercussioni sulle finanze europee.