La sentenza tra contribuente e agente della riscossione ha effetti anche nei confronti dell’ente impositore. Studiamo il caso.
La Cassazione, con l’Ordinanza n. 14566 del 26/05/2021, ha chiarito gli effetti processuali, anche sull’ente impositore, della sentenza resa nei confronti dell’Agente della riscossione. Nella specie, l’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’impugnativa di una cartella di pagamento. Con tale cartella l’agente della riscossione chiedeva al contribuente il pagamento di un importo complessivo pari ad € 2.037.770,63, a titolo di Irpef e sanzioni. Tali importi derivavano da un’iscrizione a ruolo effettuata a seguito di avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate. Il contribuente aveva proposto ricorso avverso la cartella, lamentando la nullità della notifica del precedente e presupposto accertamento. Il ricorrente deduceva la nullità della notifica della cartella, non esistendo peraltro una cassetta postale a lui intestata. A tal proposito rilevava di aver proposto denuncia-querela per il reato di falsità ideologica nei confronti dell’agente postale (poi archiviata).
Il principio giuridico
L’inesistenza giuridica della notifica dell’accertamento era stata comunque già accertata, seppur in contraddittorio con il solo agente della riscossione, da un’altra, precedente, Commissione Tributaria Provinciale. Tale Commissione aveva infatti accolto un ricorso identico (a quello ora in esame) avverso lo stesso accertamento e la medesima cartella di pagamento. Anche la successiva CTP aveva dunque ritenuto di doversi adeguare a tale la pronuncia, con sentenza poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di secondo grado avevano infatti ritenuto che, nella specie, si applicasse il principio del ne bis in idem. In base a tale principio, infatti, se i fatti materiali sono identici, non vi possono essere due pronunce sulla stessa fattispecie. E, dunque, essendo la precedente sentenza già passata in giudicato, la stessa aveva forza di giudicato esterno anche nel giudizio in esame.
La decisione della Cassazione
L’Agenzia deduceva però che i giudici di secondo grado avevano errato nell’estendere alla controversia in esame gli effetti di altra pronuncia, resa tra parti diverse. Tale sentenza era stata emessa all’esito di un giudizio svoltosi esclusivamente tra il concessionario per la riscossione e il contribuente. L’Agenzia delle Entrate non aveva infatti partecipato a quel processo. Il giudicato, secondo la ricorrente, non era pertanto ad essa opponibile, dato che l’accertamento contenuto nella sentenza fa stato solo fra le parti del giudizio. E, sempre secondo l’Amministrazione, non è sufficiente che esso riguardi un accertamento riferibile ad una questione comune ad entrambe le cause. Secondo la Cassazione la censura era infondata. Afferma, in conclusione, la Corte che la sentenza tra contribuente e agente della riscossione ha effetti anche nei confronti dell’ente impositore.
Conclusioni
Il concessionario, nelle liti che non riguardano esclusivamente la regolarità o validità degli atti esecutivi, deve sempre chiamare in causa l’ente creditore. In mancanza, risponde infatti delle conseguenze della lite. Da tale previsione, conclude la Corte, deriva, sul piano processuale, la sostituzione dell’agente riscossione all’ente impositore. Il giudicato formatosi nella lite fra il contribuente e l’agente della riscossione, opera dunque nei confronti dell’Agenzia delle Entrate indipendentemente dalla sua partecipazione al processo. L’Agenzia potrà pertanto unicamente rivalersi nel rapporto interno con l’agente della riscossione. Del resto, sarebbe illogico ritenere che l’ente impositore possa fare proprio l’esito favorevole della lite e considerare invece inopponibile quello a lui sfavorevole.