La riforma fiscale di Trump modifica lo scacchiere degli utili e dell’economia? Ora la borsa americana è sopra o sottovalutata?

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Secondo diversi osservatori, l’euforia sui mercati americani sarebbe in gran parte dovuta ad uno dei pilastri delle cosiddetta trumpnomics, cioè la politica economica di Trump.

Mi riferisco alla famosa riforma fiscale, che dovrebbe abbattere le attuali aliquote.

Ma l’economia ne gioverebbe?

Ed i mercati cambierebbero i loro fondamentali?

In realtà già la curva dei rendimenti, che si sta appiattendo, come indicato in precedenti articoli, dimostra di non credere ai vantaggi che, secondo Trump, deriverebbero dalla riforma.

Una delle discipline per studiare gli effetti, in particolare economici, che una riforma legislativa può comportare, è la legistica, e di tale materia si occupa, negli Stati Uniti, il Joint Committee on Taxation.

Tale ente ha seccamente smentito la linea della Casa bianca, secondo la quale la crescita economica, conseguente alla detassazione, finanzierebbe da sola la riforma.

Si stima, infatti, che anzi insorgerebbero diversi problemi, in primis un aggravamento della situazione del debito pubblico, con un deficit federale aggiuntivo di 1000 miliardi in 10 anni, a fronte di una modesta crescita del pil, attorno allo 0,8% nello stesso periodo.

Certamente ne trarrebbero beneficio le società, con una stima di crescita degli utili che varia secondo i diversi analisti.

Ad esempio Goldman Sachs proietta una crescita degli utili del 14% nel 2018 e del 5% nel 2019.

Ma questo cambia la prospettiva dei fondamentali di Wall street?

Facciamo due conti.

Ad esempio se l’utile medio per azione dello S & P 500 venisse maggiorato dei tassi di crescita previsti da Goldman Sachs, il p/e passerebbe dall’attuale 24,94 a 20.8.

A fronte, però, di un fair value di equilibrio attorno a 13,68, in base al Fed model modificato con un premio per il maggior rischio azionario.

Possiamo quindi dire che l’incremento degli utili, conseguente alla riforma, alleggerirebbe soltanto la sopra valutazione di Wall street, che da un premio di oltre l’82% rispetto al proprio fair value, passerebbe ad un premio del 52%.

In ogni caso sempre di quotazione a premio si tratterebbe.

Sintetizzando, possiamo dire che la riforma non consentirebbe un autofinanziamento della stessa, determinerebbe solo un modesto incremento del tasso di crescita, provocherebbe problemi di aggravio dei conti pubblici, e non farebbe passare i mercati azionari da una quotazione a premio ad una a sconto.

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Cimatti Mario Marco