La riduzione dell’imposta accertata non è un nuovo atto, ma solo una revoca parziale di quello precedente. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 18625 del 07/09/2020, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di autotutela parziale. Nella specie, la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto i ricorsi proposti dalla società contribuente avverso un avviso di liquidazione per imposta di registro. Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate aveva proposto appello e la Commissione Tributaria Regionale aveva poi dichiarato la cessata la materia del contendere per intervenuta autotutela. L’Agenzia delle Entrate aveva però proposto ricorso per cassazione, deducendo che vi era stato un annullamento solo parziale dell’accertamento, con conseguente riduzione della pretesa fiscale. In sostanza, l’atto emanato in autotutela non aveva sostituito integralmente il precedente e dunque non c’era cessata materia del contendere.
La decisione
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata. Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l’Amministrazione finanziaria non aveva in effetti proceduto alla sostituzione dell’atto impositivo originariamente opposto dal contribuente, bensì la sua mera riduzione quantitativa. E ciò escludeva che ci si trovasse di fronte ad un caso di vera e propria autotutela sostitutiva, sussistendo piuttosto un’ipotesi di mera autoriduzione quantitativa della originaria pretesa. Rileva quindi la Cassazione che la modificazione in diminuzione dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria. La riduzione dell’imposta accertata non è un nuovo atto, ma solo una revoca parziale di quello precedente. E dunque era errata la decisione del giudice di secondo grado di ritenere la cessazione della materia del contendere. L’atto impugnato era rimasto vigente, sia pure con una minore pretesa, con la conseguente permanenza dell’interesse dell’Agenzia a vedere riconosciuto il proprio credito e quello dei contribuenti volto a negarla.
Osservazioni
L’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del Dlgs. n. 546/92 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna innovazione lesiva degli interessi del contribuente. L’annullamento parziale non comporta la notificazione di un successivo avviso di accertamento, ma solo la comunicazione al contribuente di quanto disposto in autotutela. L’autoannullamento non comporta infatti una nuova imposizione, bensì un semplice ridimensionamento unilaterale del credito tributario. Si genera quindi una situazione non dissimile da quella che si definisce – in ambito processuale – di mera riduzione del petitum. L’autotutela rappresenta del resto una (doverosa) manifestazione del potere di riesame dell’Amministrazione.
E l’esercizio del potere di annullamento trova un limite insuperabile solo nell’esistenza di una sentenza passata in giudicato, che riguardi il merito del rapporto cui inerisce l’atto da annullare. L’autotutela parziale non deve essere quindi confusa né con l’accertamento integrativo, né con l’autotutela sostitutiva, esperibile quest’ultima anche in assenza di sopravvenute conoscenze. In particolare l’autotutela sostitutiva persegue lo scopo di eliminare dal mondo giuridico atti caratterizzati da vizi di legittimità, perseguendo così l’interesse pubblico generale. Mentre l’autotutela parziale, per la quale non rileva neppure il termine decadenziale, intervenendo semplicemente a riduzione della pretesa già contenuta nell’avviso notificato, è espressione del rapporto di lealtà e collaborazione tra contribuente ed Amministrazione.