Perché è il Nord Italia la zona più colpita dall’epidemia di coronavirus? Come mai questa esplosione virale nella zona più produttiva d’Italia? Perché, nonostante l’improvvida migrazione verso Sud di decine di migliaia di persone, al di sotto di Roma l’epidemia procede (fortunatamente) in maniera lentissima, senza focolai? Da più parti, pur non avendo prove dirette, si è evocato il fatto che il coronavirus abbia comunque potuto giovarsi dell’alto inquinamento del Nord Italia. Ebbene, adesso uno studio scientifico afferma con sicurezza che sia proprio così.
La prova che la diffusione del coronavirus è legata all’inquinamento
Uno studio a tre della Società Italiana di Medicina Ambientale, dell’Università di Bologna e di quella di Bari afferma proprio questo. Cioè che in relazione al periodo 10-29 Febbraio (l’esplosione del virus in Nord Italia) si è verificato un evento particolare. Ci sono state concentrazioni elevate, superiori al limite, di PM10 in alcune Province del Nord Italia, che possono aver esercitato un’azione di impulso alla diffusione dell’epidemia. Diffusione che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo.
E’ emblematico il caso di Roma, in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane, senza però innescare un fenomeno così virulento.
La letteratura scientifica sui virus è particolarmente precisa nel correlare l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico, tipo il famoso PM10. Lo studio riporta come sia noto che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” al particolato atmosferico. Quest’ultimo è costituito da particelle solide e/o liquide, in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono essere diffuse e trasportate anche per lunghe distanze.
E’ proprio così. Il particolato atmosferico, oltre ad essere un vettore, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali.
Per quanto tempo? Parecchio, nell’ordine di ore o qualche giorno.
Ecco perchè c’è La prova che la diffusione del coronavirus è legata all’inquinamento.
Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali, ricorda ancora lo studio, riferendosi alla letteratura. Mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus. Invece, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del medesimo. Anche in precedente contagi virali (aviaria, RSV, morbillo) si avevano avuto prove scientifiche di quanto la diffusione dei virus fosse da mettere in relazione all’inquinamento.
Sulla base di questa sintetica ricostruzione di rassegne scientifiche, si può quindi dedurre che il particolato atmosferico (PM10, PM2.5) costituisce un efficace vettore per il trasporto, la diffusione e la proliferazione delle infezioni virali.
Si può affermare, in conclusione, che rimanere all’interno delle proprie case sia la cosa più giusta da fare. Se si deve uscire per fare la spesa, si devono coprire bene tutte le mucose esponibili all’aria (naso e bocca, soprattutto), e le mani. Al ritorno, lavare bene non solo le mani, ma anche gli abiti con cui si sia usciti. Cambiandoli con altri con cui si sta in casa a loro volta puliti e disinfettati. Solo un’igiene corretta (che dovrebbe essere la prassi) ci può proteggere efficacemente. Dopotutto, se ci pensate, i media ci hanno sempre detto che il virus si diffondeva anche per via aerea (tosse, starnuto) oltre che per contatto diretto con una superficie infettata. Adesso abbiamo la prova che fosse vero.