La modalità “Incognito” è uno strumento ormai conosciutissimo da tutti gli utenti di Chrome. Chi naviga in rete sa bene che questa modalità è utile per proteggere i propri dati. Quando si passa in “Incognito“, Chrome non memorizza alcuni dati di navigazione. La cronologia e le informazioni inserite nei moduli rimarranno protette. Questo però non vuol dire che altre informazioni non restino visibili.
Alcuni esempi. La posizione, la propria identità sui siti dove si effettua il login, o le attività su alcuni siti web. Tutte informazioni non protette. E alle quali si può accedere in diversi casi.
Il datore di lavoro, per esempio, può ricavarle quando si usa una rete aziendale per navigare. Oppure, questi elementi restano “visibili” ai siti web visitati e ai motori di ricerca. Questo vuol dire che l’utente continuerà comunque a ricevere suggerimenti e pubblicità sulla base di quelle informazioni. Per questo la modalità “Incognito” di Google Chrome potrebbe essere meno sicura di quello che si pensa.
Una causa da cinque miliardi
Qualche mese fa è stata depositata una class action alla corte federale californiana. Il motivo? Secondo i suoi promotori, il colosso di Mountain View non rispetta la normativa sulla privacy nemmeno con la modalità “Incognito”.
Grazie ad “Analytics”, “Ad Manager” e altri potenti strumenti, Google – secondo i suoi detrattori – raccoglierebbe comunque informazioni private allo scopo di profilare meglio i suoi utenti. La profilazione è un metodo di analisi dati che consente di creare delle pubblicità mirate. Il problema sta nel fatto che Google non avrebbe mai chiarito le modalità e le attività di raccolta dati.
La class action depositata aveva un valore di cinque miliardi di dollari. L’azienda californiana ha ovviamente rigettato le accuse, sostenendo che la sua privacy policy sia invece chiara. Purtroppo per gli utenti, la modalità “Incognito” di Google Chrome potrebbe essere meno sicura di quello che si pensa.
Incognito non significa invisibile
José Castaneda, portavoce dell’azienda, ha spiegato la questione. Ogni volta che si apre una finestra in incognito viene specificato che ci sono alcune limitazioni a questa modalità. Soprattutto, che alcuni siti potrebbero comunque essere in grado di raccogliere informazioni. Castaneda sosterrà, tra le altre cose, la ragione per la quale “incognito” non significa “invisibile”.
Ma i giudici californiani, al momento, non hanno voluto sentire ragioni. Google dovrà sostenere la causa e difendersi in tribunale. Gli Esperti di Tecnologia della Redazione di ProiezionidiBorsa consigliano ai Lettori di stare particolarmente attenti a quali operazioni si effettuano online, anche quelle in modalità “Incognito”.