La mascherina e la legge del mercato

mascherina

In questo tempo di pandemia siamo più disorientati del solito. Paura, dubbi, perplessità, difficoltà di ogni genere accompagnano le nostre giornate. Ovunque ci si trovi. L’unica certezza nella quale ci imbattiamo tutti i giorni è l’uso disinvolto della mascherina ed il mancato rispetto del distanziamento sociale. Un’accoppiata vincente agli occhi del virus.

Il messaggio pubblicitario

La mascherina e la legge del mercato. Per la mascherina ognuno fa come gli pare. Di qualsiasi tipologia si tratti. Fatta in casa alla meglio o di sartoria ed alla moda; chirurgica o FFP2 sono tutte accomunate dallo stesso destino. Ma come capperi si indossano? In tanti mesi di pandemia e di morti  forse è mancato un messaggio comprensibile, sintetico, ripetuto  come quelli della pubblicità che hanno come obiettivo quello di suscitare l’interesse, il desiderio e di convincere a compiere una certa azione. Il messaggio pubblicitario deve persuadere ed indurre. In una parola deve essere irresistibile. Ed infatti il  destinatario non oppone resistenza  alcuna ed acquista il prodotto pubblicizzato.

E poi si sa, l’italiano è antropologicamente individualista, ipercritico, alternativo e, nell’intimo, aspirante anarchico. Io indosso la mascherina se mi pare e come mi pare. Seguire ciò che mi viene detto dal Governo?  E’ un’imposizione. Una limitazione della libertà individuale. Non sia mai.

Il virus, in ascolto, organizza la strategia di attacco. La diffusione. Il contagio da uomo a uomo rispettando, come ovvio, la parità di genere.

La mascherina e la legge del mercato

Possiamo modificare il nostro comportamento per ridurre il contagio?  Certamente.  Magari facendo leva su quella legge del mercato che penalizza il venditore, inteso in senso lato, non serio. Il venditore è un soggetto in vantaggio rispetto all’acquirente ma possiamo invertire la rotta. Come? Evitando, da compratori responsabili, i venditori non responsabili nei confronti della comunità sia locale che nazionale. Quindi non frequentando i locali in cui il titolare o l’addetto al servizio ai tavoli, il banconista o il cassiere portano la mascherina sotto il naso. Serve a nulla. Equivale a non indossarla. Rifuggendo i punti vendita in cui l’ingresso non è scaglionato per il rispetto del distanziamento sociale.  Evitando l ’addetto alla vendita, sotto casa, con il quale da anni scambiamo quattro chiacchiere,  che ci appare come un nemico in quel suo continuo sistemarsi la mascherina mentre tocca il pane, la frutta, i formaggi e noi ci interroghiamo sul da farsi. Vado via.  Glielo dico? L’ansia cresce. La tensione aumenta. Sogniamo la capanna, con la sua sindrome.  Il rifugio perfetto.

Ieri in Italia 753 morti. Cioè persone che non ci sono più. Sparite.

Vecchi e con patologie pregresse? Sì. Ma non solo. Anche cinquantenni, trentenni e giovanissimi. Prima del covid-19. Sani come pesci. Non vittime di una maledizione: il virus. Ma vittime dei nostri  comportamenti non responsabili.

Durante la peste nera del 1300 ed in quella del 1600,  nella città di Firenze, chiudevano “gli untori” nelle loro botteghe, nelle loro case ed appiccavano il fuoco.

Un modo decisamente sbrigativo di arginare il contagio. Oggi “gli untori” sono spalmati ovunque e manifestano, reclamando ad alta voce, diritti: ristori, posto fisso, sovvenzioni a pioggia ed ancora ristori insieme al diritto all’assembramento, all’aperitivo, alla movida.