La dichiarazione di successione è un adempimento fiscale che non comporta l’accettazione dell’eredità

eredità

Nell’articolo di oggi analizzeremo due casi specifici di diritto civile. Il primo riguarda le eredità, la loro accettazione e gli adempimenti fiscali. Il secondo riguarda, invece, l’assegnazione della casa familiare in caso di separazione tra coniugi con un figlio.

Il primo caso è una persona che rinuncia all’eredità dello zio, ma l’agenzia delle Entrate ha comunque notificato un avviso di accertamento come se fosse suo erede. L’uomo ha presentato la dichiarazione di successione ma poi ha rinunciato all’eredità in favore di altri parenti. La richiesta dell’Agenzia delle Entrate è legittima? Bisogna partire anzitutto dal fatto che la dichiarazione di successione è un adempimento fiscale che non comporta l’accettazione dell’eredità.

Come risolvere la questione

L’apertura della successione determina la chiamata all’eredità. Sino a quando l’eredità non è accettata, i successibili mantengono la qualità di chiamati e non sono giuridicamente considerati eredi. Inoltre, la presentazione della dichiarazione di successione non determina l’accettazione dell’eredità. La rinuncia ha effetti retroattivi e consiste nell’immediata decadenza dal diritto di accettare l’eredità. Chi rinuncia, in altre parole è considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità.

Pertanto, nel caso descritto, chi ha presentato la dichiarazione di successione ma non ha accettato l’eredità perché poi vi ha rinunciato, non risponde delle obbligazioni tributarie riferibili a suo zio defunto. La dichiarazione di successione non ha alcun rilievo ai fini dell’accettazione dell’eredità, anche se il chiamato ha trasmesso la dichiarazione e poi ha rinunciato senza presentare la denuncia rettificativa.

La dichiarazione di successione è un adempimento fiscale che non comporta l’accettazione dell’eredità

L’altro caso riguarda, invece, il divorzio di due coniugi con figlio, che vive, però, una situazione conflittuale con la madre con cui coabita nella casa di proprietà del padre. L’affido del giovane e l’abitazione sono stati assegnati entrambi alla madre all’epoca della separazione. A causa del rapporto conflittuale, il ragazzo vorrebbe tornare ad abitare dal papà, ma la madre si oppone. Cosa si può fare?

Secondo la Cassazione, la casa deve essere assegnata preferibilmente al genitore con cui il figlio non è in conflitto e con il quale quest’ultimo ha scelto di andare a convivere. Infatti, nel procedere all’assegnazione dell’abitazione, il giudice tiene conto dell’interesse primario dei figli. L’assegnazione della casa familiare è finalizzata a perseguire l’esigenza di tutelare l’interesse della prole a rimanere nell’ambito domestico in cui è cresciuta.

Questa esigenza non muta in presenza di figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti o con disabilità. Bisogna ottenere dal tribunale competente un provvedimento che modifichi le condizioni di divorzio e riassegni l’abitazione al coniuge, a causa delle sopraggiunte richieste del ragazzo.