Dal sito repubblica.it
NEW YORK – Donald Trump ha scelto Jerome Powell come presidente della Fed al posto di Janet Yellen, il cui mandato scadrà il prossimo febbraio. E la Casa Bianca ha notificato a Powell, componente del board della Federal Reserve, la decisione del presidente, che ha avuto un colloquio con il governatore della Fed martedì. Lo riporta il Wall Street Journal. Il presidente americano ha maturato la decisione durante il fine settimana e l’annuncio ufficiale è atteso per domani, prima della sua partenza per il viaggio in Asia.
La nomina di Povell viene considerata in continuità con la presidenza della Yellen, dal momento che è il membro del board che più è stato suo alleato: pur essendo repubblicano, ha sempre votato in accordo con il presidente. Powell dunque garantirebbe una continuità da un punto di vista della politica monetaria ma allo stesso tempo offrirebbe maggiori chance per un allentamento delle regole delle finanza. Ha lavorato nell’amministrazione Bush e con Carlyle Group.
Powell eredita una Fed alle prese con la prosecuzione del processo di normalizzazione del bilancio, che segna la conclusione formale del programma di quantitative easing, e un’economia in salute che garantisce rialzi graduali del costo del denaro. Per ora il livello del tasso di riferimento resta fissato nel “corridoio” tra l’1% e l’1,25%, e gli operatori vedono al 67% le probabilità di un rialzo del costo del denaro a dicembre. La crescita, ha sottolineato la banca centrale, “è cresciuta a una velocità sostenuta nonostante gli uragani”, il mercato del lavoro “si è rafforzato” e il tasso di disoccupazione “è sceso ulteriormente”.
La riunione della Fed arriva mentre il mercato già si interroga sui possibili rischi che potrebbero compromettere la traiettoria dei tassi nel corso del 2018, a partire dai timori per l’instabilità finanziaria e il deterioramento delle aspettative sull’inflazione. E non mancano dubbi neanche sull’interpretazione degli ultimi dati sul Pil Usa.
L’economia americana è cresciuta a un tasso annuo del 3% nel terzo trimestre e la disoccupazione é scesa al 4,2%, ai minimi dal 2001, ma per gli economisti il quadro generale non é ancora del tutto roseo.
C’é da tenere conto delle distorsioni temporanee connesse proprio agli uragani, soprattutto in termini di export e scorte nette che dovrebbero normalizzarsi nel trimestre in corso, mentre l’inflazione è rimasta al di sotto del target vicino al 2% fissato dalla Fed.
Un segnale di incertezza è arrivato proprio oggi con il calo inatteso dell’indice Ism manifatturiero, che monitora l’andamento del settore negli Stati Uniti (a 58,7 a ottobre da 60,8 di settembre). E se finora il mercato scommetteva su tre rialzi dei tassi nel corso del 2018, ora un simile scenario potrebbe rivelarsi meno plausibile soprattutto se non si assisterà a una più solida ripresa dei prezzi al consumo.