7 ottobre 2020. Il Consiglio dei Ministri si riunisce e determina la proroga dello stato di emergenza con il D. L. n. 125 fino al 31 gennaio 2021. Rinnova, inoltre, le disposizioni dell’articolo 1, co. 1, del D.L. 19/2020 (L. 34/2020) e dell’art. 3, co. 1, del D.L. 33/2020 in materia di Beni e Attività Culturali. Con esso si mantiene inalterata la condizione di apertura di teatri, sale da concerto, cinema e spazi adibiti allo spettacolo dal vivo. Tale condizione predispone un numero massimo di 1000 spettatori per gli spettacoli all’aperto e di 200 per le sale al chiuso, con posti a sedere preassegnati e con distanza minima di un metro.
In Italia i teatri attendono di morire, così come il nostro essere italiani
L’incertezza sparisce e lascia il posto alla tristezza per coloro che del teatro hanno fatto la propria vita. Musicisti, ballerini, attori, tecnici delle luci, cantanti, scenografi, registi e tante altre figure che danno vita a quella macchina viva che è lo spettacolo.
A Milano i 500 bauli in Piazza Duomo, sono l’emblema di una crisi che non è solamente economica, che non appartiene solo a chi è parte del teatro e dell’arte, bensì tutti noi.
Spettatori non del tutto ignari della magia nera che si sta compiendo ormai da mesi, ascoltiamo non più musica e prosa ma brusii e lamentazioni.
I teatri italiani per la grande parte non riapriranno le loro porte. Si è tentato nei mesi estivi di ritornare a una parvenza di normalità, a far fluire (sebbene contingentato e timoroso) il pubblico dell’opera, della musica, della commedia, dei film d’autore, dell’arte figurativa.
Oggi si ha paura di nuove restrizioni sul pubblico.
E quindi non più incertezza, ma la consapevolezza che molte di queste realtà non avranno la forza di riprendersi. Pensare che l’arte in questo momento sia la vittima con più ferite non rimarginate, ancora purulente, potrebbe instillare in noi delle riflessioni.
Il nostro Bel Paese di cui l’arte è emblema, orgoglio e risorsa, chiede aiuto ma non trova risposta adeguata.
Ma vediamo quali sono le condizioni per cui In Italia i teatri attendono di morire, così come il nostro essere italiani.
Capienza, spazi e affollamento
Le sale dei teatri possono essere molto diverse tra loro.
In Italia abbiamo la fortuna e il prestigio di avere alcuni tra i teatri d’opera e di prosa più antichi d’Europa, dalle sale magnifiche con capienza fino a 2000 persone. Ricordiamo tra questi il Teatro Massimo di Palermo, il Teatro alla Scala e il Piccolo Strehler di Milano, il Regio di Torino, la Fenice di Venezia, e molti altri teatri di tradizione.
La capacità di accogliere spettatori varia, così come varia la disposizione dei posti a sedere.
Il Governo italiano impone nuove (vecchie) regole all’accoglienza di spettatori nei teatri, ricordando le disposizioni di giugno e mettendo in grande difficoltà coloro che sono chiamati a portare avanti l’arte e la musica.
La capienza ridotta per il pubblico, l’impossibilità per cantanti e attori di lavorare vicini e senza la mascherina, la necessità di avere pochi artisti sulla scena che interagiscano a distanza tra loro. Tutti questi sono gli elementi che mettono chi fa arte dinnanzi a una scelta: chiudere o resistere?
Lo spettacolo è una creatura di complessa fattura, necessita di organizzazione, cooperazione e conti su conti. Perché l’importante è fare arte, ma anche andare in pari col bilancio.
Anche per i teatri più grandi, le cosiddette Fondazioni, riaprire non è un gioco
Oltretutto, una delle qualità dello spettacolo che lo rende magico è proprio il coinvolgimento. Il teatro ha bisogno di spettatori, ha bisogno di musicisti che suonino insieme e di cantanti che si scambino baci appassionati, ha bisogno di attori del dramma che rompano la quarta parete pirandelliana. Tutto questo pare essere scomparso col virus, mortificato dalla paura del contagio (uno studio dell’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo mostra che da giugno ad ottobre su 350mila spettatori è risultato un solo contagio).
I teatri e l’Opera lirica
L’opera lirica emerge nel suo essere una perfetta mescolanza di recitazione, teatro e musica. Ma è proprio questa caratteristica a renderla più vulnerabile. A partire dall’organizzazione delle stagioni con piani di 4 anni, adesso cancellate da una settimana all’altra, fino all’impossibilità di concedersi regie dove i cantanti possano scambiarsi oggetti e stare senza mascherina.
I botteghini lavorano in tempi ridotti e si scontrano con la realtà di cancellazioni e rinvii, rimborsi e voucher.
Le stagioni 2021 sono ferme
Il timore di un ulteriore riduzione del numero massimo di spettatori fa trasalire. I teatri hanno cercato di rimettersi in gioco accogliendo nemmeno la metà del pubblico, lo stacco di biglietti non è sufficiente. L’alternativa sarebbe triplicare il costo del biglietto, evenienza cui nessuno pensa.
Il teatro dell’Opera trema, mentre alcuni dei suoi rappresentanti più forti coinvolgono gli spettatori affezionati, mandano in scena opere di repertorio minori, ma non per questo meno interessanti. Il teatro si reinventa e reinventa spazi, opere, scenografie -per esempio la Scala di Milano ha appena messo in scena l’Aida sotto forma di concerto-.
La paura è quella di non riuscire a pagare artisti e tecnici, per non parlare del personale di sala e dei curatori. La notizia è che il Reggio di Torino non riaprirà, con 200 posti a sedere non riuscirebbe a sopravvivere alla sua già triste situazione.
In Italia i teatri attendono di morire, così come il nostro essere italiani
Il pubblico si commuove nel ritornare nel suo teatro o sala da concerto preferita. Si commuove quando il primo violino intona il La dell’accordatura, quando il sipario si apre e un giovane attore in penombra pronuncia la prima parola di un monologo. Sì, un monologo, perché sarà solo.
Il nostro essere italiani muore quando l’arte viene dimenticata. Non è di cultura che stiamo parlando, ma dell’essenza dell’umanità. La musica che si riversa nel corpo, la parola del teatro che riflette, scatena, riappacifica, il canto che libera e crea armonia.
“Il sipario non deve chiudersi” qualcuno ha intonato. Perché il contagio non sarà quello del virus, ma verrà dall’entusiasmo, dal fuoco e dalla speranza di chi fa arte e di chi vive di essa.