Il tasso di inflazione annuale nell’eurozona è di nuovo aumentato nel mese di luglio

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Il tasso di inflazione annuale nell’eurozona è di nuovo aumentato nel mese di luglio, salendo, per la prima volta in quasi tre anni, al di sopra dell’obiettivo del +2,0% (simmetrico) appena fissato dalla Banca centrale europea nella sua nuova strategia di politica monetaria.

L’indice dei prezzi al consumo (CPI) è infatti aumentato del +2,2% su base annua, registrando il tasso di crescita più elevato da ottobre 2018, secondo la stima preliminare rilasciata venerdì da Eurostat. In alcuni paesi dell’eurozona l’aumento dei prezzi al consumo è stato ancora più marcato e sta cominciando a destare le prime preoccupazioni nel mondo politico.

È il caso della Germania, il cui valore dell’indice CPI è salito di ben il +3,8%, registrando l’incremento maggiore dal 2008.

Come è noto, la Germania è il paese europeo tradizionalmente più avverso all’inflazione, considerato uno dei “falchi” all’interno del board della BCE. Per questo motivo, la recrudescenza inflazionistica che sta vivendo potrebbe presto generare nuove tensioni tra i banchieri della BCE, con Jans Weidmann, il presidente della Bundesbank, che potrebbe alzare il tiro nel chiedere apertamente una stretta monetaria rapida, prima che la situazione sfugga di mano.

Una eventualità, questa, che potrebbe creare problemi all’economia del Vecchio Continente, nel momento in cui si stanno osservando i primi veri segnali di ripresa dalla crisi pandemica.

Guardando i dati, la principale causa dell’aumento dei prezzi è dovuta alle componenti “non core” del paniere, ovvero a quelli dell’energia, che sono aumentati del +14,1%, più dell’aumento del +12,6% registrato a giugno. L’indice dei prezzi al consumo “core” – che esclude le categorie più volatili di cibo ed energia – è, invece, aumentato ad un ritmo più modesto, pari al +0,7%, dopo essere aumentato del +0,9% il mese precedente. Proprio questa discrasia esistente tra inflazione complessiva e inflazione “core” è stata portata come giustificazione da parte dei banchieri della BCE per motivare la non necessità di procedere ad un restringimento della stance di politica monetaria. Questa posizione riapre, tuttavia, un antica querelle da sempre esistita tra gli economisti, sulla necessità o meno di considerare l’inflazione “core”, e non quella complessiva, come benchmark di riferimento sul quale prendere le decisioni di politica monetaria.

Il tasso di inflazione annuale nell’eurozona è di nuovo aumentato nel mese di luglio

L’altra motivazione tradizionalmente portata dai banchieri di Francoforte per giustificare il rifiuto ad alzare i tassi d’interesse è quella secondo la quale l’inflazione sarebbe soltanto di un fenomeno temporaneo. Questa posizione è, tuttavia, molto controversa, dal momento che diversi economisti si aspettano che l’inflazione “core” salga ancora nella seconda metà dell’anno, per poi scendere ben al di sotto dell’obiettivo del 2,0% della BCE nel 2022 e 2023.

Visto lo stato in cui stanno le cose, sarebbe, a questo punto, necessario che i banchieri centrali procedessero a caratterizzare meglio a livello temporale l’aggettivo “temporanea”, il quale può significare tutto e niente, un mese piuttosto che anni. Considerando che l’inflazione ha sempre seguito un andamento ciclico, e che, quindi, a fasi di incremento sono sempre seguite fasi di diminuzioni, qualsiasi fase ciclica positiva potrebbe essere considerata come temporanea. Ma questa non volontà di definire più precisamente cosa i banchieri definiscono come “temporaneo” rischia di rendere questa posizione del tutto arbitraria, adattabile a qualsiasi circostanza, solo per giustificare in qualsiasi caso la reticenza della banca a restringere la sua stance di politica monetaria. E’ questo un rischio che l’istituzione non può proprio correre. La perdita di credibilità dovuta alla fissazione di regole arbitrariamente interpretate (e modificate) potrebbe, infatti, creare effetti disastrosi sui mercati finanziari nel lungo termine.