Il primo trimestre del 2021 si è rivelato un’altra delusione per l’economia dell’eurozona, con il PIL che è calato del -0,6% e con l’inflazione che è salita più delle attese. L’area euro è così entrata nella sua seconda recessione tecnica dall’inizio della pandemia, mentre il potere d’acquisto dei cittadini rischia di subire un drastico ridimensionamento nell’esatto momento in cui i loro redditi stanno calando.
Nonostante il calo del PIL, i fondamentali sottostanti dell’economie sono sembrati tuttavia incoraggianti, soprattutto da metà gennaio in poi. Le decisioni dei governi di allentare le restrizioni imposte nei mesi precedenti hanno prodotto effetti molto benefici sui consumi, con i cittadini che sono tornati a spendere per effetto di un rinnovato entusiasmo per il futuro.
Inoltre, il tasso di disoccupazione è diminuito durante la seconda ondata, scendendo a marzo dall’8,2 all’8,1%.
Oltre a ciò, il settore manifatturiero ha registrato una forte crescita, considerando anche che l’aumento di domanda non ha trovato soddisfazione dal lato dell’offerta, per effetto di vincoli di approvvigionamento e di distribuzione, come confermato dall’aumento degli ordinativi e dal ritmo di produzione delle imprese.
Questi dati lasciano prevedere che il PIL dell’eurozona dovrebbe tornare in territorio positivo già nel secondo trimestre.
Il vero problema è rappresentato però dall’aumento dell’inflazione, che ad aprile è salita dal +1,3 al +1,6%, per effetto di un’altra impennata dei costi energetici, dopo che il prezzo del petrolio aveva raggiunto il minimo nell’aprile del 2020, per effetto della querelle russo-saudita e di una domanda globale ridottasi a causa delle varie restrizioni e chiusure. L’inflazione energetica dovrebbe tuttavia esaurirsi già dai prossimi mesi.
L’aumento dei prezzi riferito ai beni di consumo è tuttavia destinato a permanere, considerando le carenze non risolte di materie prime esistenti sui mercati internazionali e i vincoli della catena di approvvigionamento, che hanno causato un aumento dei prezzi delle importazioni. Siccome le imprese possono assorbire parte di questi maggiori costi nei margini, sembra logico attendersi un ulteriore aumento dei prezzi. L’inflazione dei beni industriali non energetici, ad esempio, è aumentata dal +0,3 allo +0,5%.
Il PIL dell’eurozona dovrebbe tornare in territorio positivo già nel secondo trimestre
Gli investitori, per il momento, sono inclini a ritenere che l’inflazione di medio termine rimarrà comunque bassa, dato che tutti i fattori elencati sopra sono ritenuti di natura temporanea. Le previsioni sull’economia dell’eurozona sono tuttavia meno ottimistiche rispetto a quelle degli Stati Uniti, a causa della debolezza del Pil, del programma di vaccinazioni che risulta essere in ritardo, delle riaperture che sono state tardive e di uno stimolo fiscale più debole per il 2021. La domanda interna dell’eurozona è comunque destinata a registrare un forte rimbalzo nel secondo trimestre, per effetto delle riaperture.
L’aumento dell’inflazione provocherà dei problemi alla BCE, la cui forward guidance sarà messa a dura nelle prossime riunioni. Con il CPI che si sta rapidamente avvicinando alla soglia statutaria del 2,0%, tradizionalmente ritenuto uno spartiacque tra una politica monetaria accomodante e una restrittiva, se la crescita del PIL dovesse essere sostenuta sulla scia delle riaperture previste, Francoforte avrebbe grosse difficoltà a far passare ai mercati finanziari il messaggio che le pressioni inflazionistiche sembrano essere soltanto transitorie. Se il messaggio non dovesse essere creduto dagli investitori, una fase bearish dei sovereign e corporate bond diventerebbe, a quel punto, molto probabile.