Il concorso di responsabilità dell’amministratore di diritto e di fatto nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, alla luce della più recente interpretazione giurisprudenziale e delle disposizioni del codice civile, come novellate dal nuovo codice della Crisi d’Impresa.
Studiamo il caso.
I reati societari, contemplati dalle disposizioni di cui agli articoli 216 e ss. L. Fall. rappresentano un topos nel quale convergono discipline distinte: quella civilistica, in senso stretto di matrice societaria, quella penalistica e fallimentare.
La concreta applicazione delle norme relative, in modo sistematico, storicamente ha destato e continua a destare l’ermeneutica giurisprudenziale.
In tale contesto storico e normativo, recentemente, si sono innestate le disposizioni del nuovo Codice della Crisi d’Impresa, con l’obiettivo di definire la figura ed i profili di responsabilità dell’amministratore senza deleghe, il cui inquadramento condiziona, inevitabilmente, l’interpretazione della magistratura, in sede penale.
Segnatamente, un breve excursus giurisprudenziale, in tema di reati societari, evidenzia che i maggiori dubbi interpretativi hanno riguardato e riguardano, tutt’ora, i profili di responsabilità penale ascrivibili all’amministratore privo di deleghe.
Il concorso di responsabilità dell’amministratore di diritto e di fatto nei reati di bancarotta fraudolenta
L’orientamento ermeneutico prevalente, sposato dalla Corte di Cassazione penale, sulla questione, sostanzialmente, ai fini della configurabilità del concorso nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in capo all’amministratore della società (fallita), privo di deleghe, per omesso impedimento dell’evento, annette rilevanza alla prova della sussistenza dell’elemento psicologico dei reati.
In particolare, la Suprema Corte penale ha affermato la massima secondo la quale, a tal fine, è necessaria la prova della effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli per la società o “segnali di allarme”, dai quali possa, inequivocabilmente, desumersi, che vi sia stata “accettazione del rischio” del verificarsi dell’evento illecito (dolo eventuale) e la volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scagionare detto evento. (Cfr, ex multis: Cass. Pen. Sez. V, n. 30856 del 13.09. 2021; Cass. Pen. Sez. I, n. 14783/2018; Cass. Pen, Sez. V n. 42568 del 19.06.2018).
In linea con tale orientamento giurisprudenziale, si segnala una recente sentenza di merito, pronunciata dal Tribunale di Milano, (Sez. G.I. P del 3.12.2020, n. 1737), la quale ha precisato anche gli elementi oggettivi del reato, stabilendo, appunto, a quali condizioni può ritenersi integrata la condotta tipica dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e per effetto di operazioni dolose, in capo al componente del CDA (consigliere d’amministrazione), privo di deleghe.
I Giudici di Prima Cure, sul punto, hanno affermato che siffatta responsabilità va esclusa se:
L’amministratore non abbia preso parte alle condotte distrattive; non abbia tratto alcun profitto dalle condotte illecite altrui; non sussistano elementi idonei a far ritenere che lo stesso fosse a conoscenza delle condotte illecite altrui (richiamandosi, sul punto, all’interpretazione del Giudice del diritto, quanto alla ravvisabilità dell’elemento soggettivo del reato).
In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, la sentenza di merito esclude la ravvisabilità di una responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta impropria (per aver causato il fallimento per effetto di operazioni dolose), qualora: Non sia emersa, in corso di causa, la prova della coscienza e volontà dell’imputato di porre in essere o proseguire l’operazione di distrazione, né la prova dell’astratta prevedibilità dell’evento del dissesto.
Significativo è il richiamo dei Giudici milanesi alla circostanza della trazione di un profitto dalle condotte illecite altrui, che vale a dare una connotazione oggettiva al reato e risulta pertinente, considerata la qualificazione come “fraudolenta” dello stesso.
In relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico, la sentenza, in linea con i precedenti della Cassazione Penale, lo è ancora di più con le disposizioni del codice civile di riferimento, le quali stabiliscono i profili di responsabilità civile dell’amministratore di diritto, senza deleghe e di fatto.
Segnatamente, secondo la lettera del secondo comma di cui all’art. 2392 c.c., gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose, fermo il disposto dell’art. 2381 c.c. Quest’ultimo contempla, infatti, un’eccezione alla regola generale, con riguardo agli amministratori privi di delega, sui quali, sostanzialmente, non grava alcun obbligo di vigilanza sull’operato degli amministratori. Obbligo, quest’ultimo, introdotto, tuttavia dalla disposizione di cui all’art. 2086 c.c., come modificato dall’art. 375 del Nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Esso stabilisce la regola iuris secondo la quale tutti gli imprenditori che operano in forma societaria o collettiva hanno il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, funzionale alla rilevazione tempestiva di un’eventuale crisi e della perdita della continuità aziendale. Ne emerge un nuovo assetto di responsabilità, in capo agli amministratori non delegati, rafforzato, appunto, in via generale dalla novellata disposizione dell’art. 2086 c.c. e graduato, a seconda del ruolo effettivamente svolto nell’ambito dell’organizzazione societaria.
Obiettivo della novella legislativa è quello di attribuire uno status agli amministratori privi di deleghe, con competenze e specifici doveri di trasparenza e informativi, nonché di ausilio agli altri componenti del CDA.
Manca tuttavia, ad oggi, una disciplina di raccordo tra quella mutuata dal combinato disposto degli art. 2392 c.c. e 2381 c.c., con il nuovo art. 2086 c.c.. Segnatamente, alla luce di quest’ultima disposizione sembra che l’eccezione contemplata dall’art. 2381 c.c. sia priva di significato e non abbia più ragione di essere.
In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, sarà interessante esaminare come la riforma impatterà sull’evoluzione della giurisprudenza penale, in tema di responsabilità dei consiglieri d’amministrazione per i reati societari. La disciplina civilistica di riferimento rappresenta, infatti, il sostrato sul quale si innestano gli orientamenti ermeneutici della magistratura e, in particolare, il differente regime di responsabilità penale inaugurato dagli stessi, basato sulla presenza o meno della delega di funzioni.
Il progressivo allineamento del ruolo dei diversi componenti del CDA, in sede civile, in prospettiva, potrebbe comportare un irrigidimento dei profili di responsabilità penale, in capo agli amministratori non delegati, attestantesi sui medesimi parametri di quelli ascrivibili ai delegati.