I sintomi da coronavirus possono durare mesi. È la sindrome post-Covid-19: se ne sa poco, ma esiste.
A dirlo sono numerose testimonianze, ma stanno arrivando anche i primi studi scientifici sulla materia.
Sappiamo ovviamente ancora poco, ma per molte persone i sintomi dell’infezione da coronavirus durano settimane, o addirittura mesi.
Succede anche a pazienti giovani, con sintomi iniziali piuttosto lievi, senza patologie pregresse
Oltre ai sintomi dolorosi, queste persone si trovano inevitabilmente a fare i conti con le difficoltà nella vita lavorativa e sociale. In inglese le persone che presentano questi sintomi a lungo termine sono definiti “long haulers”.
Le loro esperienze sono state raccolte dai medici, dai giornalisti o diffuse tramite i social network.
Fino ad ora questo fenomeno non ha ricevuto molta attenzione. Non è sicuramente facile dare risposte, perché continuamente le conoscenze sul virus sono rimesse in discussione. Specialmente circa la durata dell’infezione e, ancor più, sulle possibili complicanze.
I sintomi del post-Covid sono eterogenei e non immediatamente riconoscibili come conseguenze di tale infezione.
Ma qualcosa si muove.
I sintomi da coronavirus possono durare mesi. È la sindrome post-Covid-19: arrivano i primi studi per tentare di spiegare il fenomeno
Gli studi in merito sono ancora pochi e per il momento analizzano campioni ristretti, ma emergono alcuni tratti comuni.
Sono riportati problemi respiratori, fatica cronica, dolori al petto, mal di testa, palpitazioni, problemi gastrointestinali. Ma anche perdita di memoria e altri sintomi inaspettati.
Uno studio italiano è stato condotto da un gruppo di medici del Policlinico Gemelli di Roma, sotto la guida del dott. Angelo Carfì. La ricerca ha coinvolto 143 pazienti, che erano stati ricoverati per Covid-19 e successivamente dimessi. Nonostante tutti fossero diventati negativi, a due mesi dalla comparsa dei primi sintomi, l’87% di loro continuava a presentare almeno un sintomo.
È ancora presto per avere certezze. Ma le conclusioni dello studio italiano sono simili a quelle di altri studi simili in altri Paesi.
La maggioranza dei pazienti esaminati dai vari gruppi di ricerca, continua ad avere sintomi a distanza di mesi dal contagio. Questo avviene anche a tampone negativo e senza che ciò sia riconducibile a fattori pre-esistenti.
Uno studio tedesco ha rilevato che il 78% dei pazienti guariti presentava problemi cardiaci dopo due o tre mesi.
David Putrino, neurologo e specialista nella riabilitazione al Mount Sinai Hospital di New York, ha preso in esame 1.400 casi. Riporta un’alta incidenza tra i suoi pazienti di sintomi dell’encefalomielite mialgica, detta anche sindrome da fatica cronica.
In altri casi i sintomi sembrano indicare un malfunzionamento cronico del sistema nervoso. Il tutto, con ripercussioni sui movimenti involontari, come respiro e battito cardiaco.
Quali sono i rischi?
I sintomi da coronavirus possono durare mesi. È la sindrome post-Covid-19.
La poca conoscenza dei sintomi a lungo termine porta con sé ulteriori problemi. Tra questi, lo scetticismo con cui talvolta i pazienti sono trattati nell’ambiente di lavoro, ma anche dai medici. Molti raccontano di non essere presi sul serio, o che tutto sia ricondotto a cause psicologiche.
L’assenza di trattamenti adeguati potrebbe però aggravare i sintomi e/o far sì che si cronicizzino.
Ecco perché si sono spontaneamente formati gruppi di auto-aiuto, attivi soprattutto sui social network.
Tra questi, il gruppo Long COVID SOS, che è riuscito ad ottenere l’ascolto del direttore generale dell’OMS, il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus. Egli ha dichiarato che il problema è riconosciuto e che l’OMS si impegna a dare risposte.
Come mai in certi casi i pazienti sintomatici risultano negativi?
Per il momento gli esperti hanno formulato varie ipotesi, ma non ci sono ancora certezze.
Il virus potrebbe riattivarsi anche dopo la “negativizzazione”. Oppure, anche debellato il virus, è il sistema immunitario che continua a reagire in modo anomalo. Si studiano possibili danni a lungo termine agli organi ed apparati, tra cui quello circolatorio. Il virus potrebbe anche rimanere nell’organismo, ma non essere rilevato dai tamponi perché insediato in diversi organi, non legati alle vie respiratorie.
Sono ipotesi ancora da confermare. Nel frattempo, oltre a continuare e sostenere la ricerca, è importante puntare a diagnosi puntuali.
Garantire e potenziare tamponi e test, anche in presenza di sintomatologie lievi, è sicuramente un passo in avanti.